Malattie rare. Lorenzo vince la sua battaglia in tribunale: era stato licenziato per troppi mesi di assenza
Il ricorso dell’uomo a Milano è stato accolto, ma ad essere straordinarie sono le motivazioni dell’ordinanza: il Tribunale, infatti, non si è limitato a dare il suo giudizio sulla vicenda ma ha sentenziato che in caso di malattia cronica le assenze per motivi di salute non possono essere computate ai fini del comporto, a prescindere dall’esistenza di certificazioni comprovanti handicap o invalidità civile
Lorenzo viveva a Milano e da 33 anni lavorava nella stessa azienda con un contratto regolare, a tempo indeterminato, nel settore del commercio. È stato licenziato per aver superato il periodo di comporto, cioè il numero massimo di giorni di malattia previsti dal Contratto collettivo nazionale, che sono di norma 180. In piena pandemia Covid, nel 2020, l’uomo ha ricevuto la diagnosi di miastenia gravis, una malattia rara e cronica, che lo poneva anche tra i "soggetti fragili da tutelare" di fronte alla pandemia.
Verso metà dicembre 2020 l’azienda ha deciso di metterlo in malattia precauzionale. "Lavoravo all’accettazione – racconta – quindi a stretto contatto col pubblico e non esisteva la possibilità di smart working o di un cambio mansioni. Quindi in attesa della vaccinazione sono stato messo in malattia dal mio curante. Mi sono dovuto sottoporre a un intervento importante e sono stato licenziato a luglio 2021, per aver sforato il periodo di comporto, che per il CCNL commercio è di 180 giorni".
La storia di Lorenzo viene raccontata dall’Osservatorio Malattie Rare, che ricorda come, purtroppo, il contratto del commercio non preveda la possibilità di prolungare il periodo di comporto usando una specifica formula, quella della “terapia salvavita”, prevista invece in altri contratti.
La miastenia gravis è una malattia rara autoimmune che è caratterizzata prevalentemente da mancanza di forza ed esauribilità della muscolatura. Le persone che ne sono colpite sembrano stanche, depresse, ma si tratta di una patologia severa e anche molto invalidante che, fortunatamente, si può però tenere sotto controllo con la giusta terapia.
La vittoria in Tribunale
“Questo ha reso tutta la vicenda più complicata, ma Lorenzo non si è dato per vinto e assistito dal suo legale si è rivolto al Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, impugnando il licenziamento e denunciando il carattere discriminatorio del recesso datoriale e quindi la sua nullità – racconta l’Osservatorio -. Il ricorso è stato accolto, ma le motivazioni dell’ordinanza sono straordinarie: la sua vittoria apre un nuovo scenario per tante altre persone che potranno trovarsi nella stessa condizione. Il Tribunale di Milano, infatti, non si è limitato a dare il suo giudizio sulla singola vicenda ma ha fatto molto di più: ha sentenziato che ‘in caso di malattia cronica le assenze per motivi di salute non possono essere computate ai fini del comporto’, a prescindere dall’esistenza di certificazioni comprovanti handicap o invalidità civile”.
“L’ordinanza ribadisce poi, secondo quanto stabilito dalla Direttiva 2000/78/CE prima e dalla Corte di Giustizia, alcuni principi comunitari di particolare rilevanza, che seppur spesso richiamati da diverse pronunce giurisprudenziali, non sono ancora riconosciuti ed integrati nella normativa nazionale – spiega l’avvocata Roberta Venturi, co-responsabile dello Sportello Legale “Dalla Parte dei Rari” –. Nel 2019 la Corte di Cassazione ha riconosciuto la malattia come disabilità, se duratura e incidente sull’integrazione socio-lavorativa di un soggetto; ancora nel 2016 il Tribunale di Milano ha riconosciuto la fattispecie di discriminazione indiretta nel caso di previsione per un lavoratore disabile e per un lavoratore non disabile, del medesimo periodo di comporto. Oggi questa ordinanza sottolinea l’esigenza di interpretare la disciplina del periodo di comporto in una prospettiva di tutela e salvaguardia dei lavoratori che, portatori di disabilità, si trovano in una condizione di oggettivo e ineliminabile svantaggio. Un altro bellissimo esempio di giurisprudenza che speriamo possa essere riportato quanto prima in testo di legge. Auspichiamo infatti che i contenuti di questa ordinanza, come delle precedenti pronunce, possano diventare un principio di Legge al quale i contratti collettivi nazionali siano chiamati ad uniformarsi".
Disabilità non significa solo certificazione di invalidità
L’ordinanza ha di fatto stabilito un'ulteriore questione sostanziale: disabilità non significa certificazione di handicap o invalidità. Il documento esplicita infatti che “alla condizione di invalidità/disabilità deve riconoscersi una rilevanza obiettiva, per il sol fatto della ricorrenza di un’effettiva minorazione fisica e, addirittura, indipendentemente dal riconoscimento formale che della stessa i competenti Enti Previdenziali ne abbiano dato, pena la frustrazione delle tutele di legge, anche perché assoggettare l’applicazione delle tutele riservate ai soggetti portatori di questo specifico fattore di rischio alla ricorrenza, o all’adempimento, di formalità di qualsivoglia natura significherebbe creare un vulnus oltremodo severo allo statuto di protezione previsto dall’ordinamento, frustrandone ratio ed efficacia".