Legge Sirchia, 20 anni dopo. La rivoluzione del vietato fumare
Il divieto di accendere sigarette in luoghi pubblici al chiuso entrò in vigore nel gennaio 2005. L’Italia fu pionieristica, ma tanti passi si possono ancora fare

Sono passati 20 anni dall’entrata in vigore della legge per la tutela della salute dei non fumatori, nota come legge Sirchia dal cognome del ministro della Salute che allora volle fortemente il provvedimento introdotto con l’articolo 51 della legge 16 gennaio 2003 che riguardava la pubblica amministrazione e che entrò in vigore due anni dopo. Tre righe del primo articolo – “È vietato fumare nei locali chiusi, ad eccezione di quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico e di quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati” – che hanno segnato l’inizio di una rivoluzione che ricorda bene chi nel 2005 aveva già l’età per frequentare ristoranti, bar, uffici e altri luoghi pubblici, spesso invasi da nuvole di fumo. O chi ricorda gli spazi all’aperto delle scuole, dove professori e studenti potevano fumare durante l’intervallo? La legge entrata in vigore a gennaio 2005 venne approvata dopo molte polemiche, l’opposizione delle lobby del tabacco e dei gestori dei locali che temevano la chiusura di bar e ristoranti a causa del divieto e la contrarietà anche di molti parlamentari di centrodestra che allora erano maggioranza. «La legge voluta da un medico, Girolamo Sirchia, mirava a tutelare soprattutto i non fumatori, ma anche i fumatori che erano costretti a respirare il fumo degli altri in molti ambienti – ricorda Luca Sbrogiò, direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Ulss 6 Euganea – Se l’iter giuridico è stato molto lungo, le evidenze scientifiche che si erano accumulate dalla metà degli anni Cinquanta erano numerose e dimostravano che i non fumatori esposti al fumo passivo erano coinvolti nelle stesse patologie, in particolare respiratorie e cardiocircolatorie, di chi fumava».
Anche se il tabagismo è una delle principali preoccupazioni di salute pubblica nel mondo, arrivare alla legge Sirchia non fu facile... «Il percorso è stato lunghissimo e ha avuto un pregresso, con le prime limitazioni per il fumo nei cinema, nel 1975 e un seguito, con il ministro Lorenzin che nel 2016 ha voluto limiti al fumo nelle auto in presenza di bambini e donne in gravidanza. Adesso si stanno diffondendo in sede locale “luoghi liberi dal fumo”, come parchi, fermate di treni e autobus, cimiteri e spazi davanti alle chiese. Bibione, dall’estate 2019, è stata la prima località in Italia a limitare la possibilità di fumare in spiaggia. I 30 anni trascorsi dalle limitazioni nei cinema alla legge Sirchia ci ricordano quanto sia difficile passare dal dato medico al provvedimento normativo. Anche a Padova il gruppo di lavoro coordinato dal prof. Bruno Paccagnella, di cui facevo parte, promosse studi per diffondere i dati scientifici delle ricadute del fumo passivo. Lo stesso Sirchia ha ricordato che si trattò di una battaglia anche nel Consiglio dei ministri con chi si occupava di economica che portava le preoccupazioni della filiera del tabacco e dei ristoratori. Ma non c’è stato nessun tracollo economico, anzi si è scoperto un nuovo piacere di stare a tavola. E oggi il consenso sociale è forte ed efficace e nessuno si azzarda più ad accendersi una sigaretta al ristorante».
All’epoca l’Italia era tra i primi Paesi al mondo a introdurre limiti al fumo di seconda mano. Come venne accolta la scelta? «In molti non avrebbero scommesso un centesimo su di noi. C’era un misto di incredulità, invidia e certezza che non avremmo rispettato le norme. Ma ci invitavano per spiegare come ci eravamo arrivati. Io stesso sono stato in Scozia perché siamo stati capofila a livello mondiale. E i risultati hanno dato grande credibilità al nostro sistema».
Qual è la situazione attuale sul tabagismo? «Abbiamo dei dati aggiornati al 2023 che riguardano il territorio della nostra Ulss 6. Risultano fumatori il 22,7 per cento dei maschi e il 14,3 delle donne, un trend in calo visto che erano rispettivamente 25,9 e 20,3 nel periodo 2012-2015. L’età dell’iniziazione, fino a 24 anni, vede il 17 per cento di fumatori, mentre nelle fasce 25-34 e 35- 49 abbiamo ancora circa un fumatore ogni quattro persone (rispettivamente 24,1 e 23,6 per cento). Interessante il dato relativo all’istruzione, che evidenzia un gradiente inverso: le persone più istruite fumano di meno (i fumatori sono il 16,7 per cento di chi ha licenza elementare o media, il 21,6 di chi ha finito le superiori e il 14,6 di chi è laureato). Sono dati che ci collocano in posizione migliore rispetto ai dati del Veneto e dell’Italia».
Il calo del numero dei fumatori ha avuto conseguenze sul piano sanitario? «Chi si occupa di prevenzione in ambito sanitario può essere orgoglioso perché si sono salvate tante vite con le campagne contro il fumo e le limitazioni al fumo passivo. Su tutti c’è stato un crollo dell’incidenza del tumore al polmone. Ma il tabacco ha impatto su tanti organi. Se oggi dovessimo puntare su altri scenari di prevenzione, la battaglia principale sarebbe quella contro la cosiddetta diabesity, coesistenza di obesità e diabete, che richiede alimentazione corretta e attività fisica».
Alcuni Paesi stanno introducendo misure più rigide. In Gran Bretagna sarà illegale vendere sigarette a chi è nato dopo il 2009. Quali obiettivi possiamo porci? «Si sperimentano politiche di restrizione all’accesso, l’aumento dei costi e delle accise, si sviluppano campagne di comunicazione per promuovere stili di vita sani, si vieta la pubblicità delle sigarette (ricordo la Ferrari mezza bianca per evidenziare una marca di sigarette…), sui pacchetti sono chiari messaggi mirati. La Svezia intende scendere sotto il 5 per cento di fumatori entro il 2030. I dati scientifici parlano chiaro ma per le scelte ci vuole tempo».
Infine le “mode”, altri modi di fumare, come il tabacco riscaldato... «Gli esperti dicono che è “un altro modo di spacciare nicotina”. Può forse servire a fumatori forti per ridurre la quantità introdotta, ma anche avviare i giovani al fumo. Si tratta sempre di introdurre una sostanza che dà dipendenza e che contiene oltre quattromila sostanze tossiche…».