Le testimonianze di chi fugge dalla guerra
A tutti i valichi di frontiera con l’Ucraina i cellulari strillano in continuazione. Quelli che chiamano sono spesso amici o conoscenti, o addirittura degli sconosciuti amici di un qualche parente dei profughi. Telefonano per concordare il modo di ritrovarsi una volta i profughi saranno passati dalla parte polacca del confine. Ma i cellulari strillano anche quando cadono i missili in Ucraina dove è stata inventata un’applicazione speciale che avverte dei bombardamenti, quando bisogna scendere nei sotterranei e nascondersi nelle cantine, in attesa della fine dell’attacco
La centrale nucleare di Rivne, una delle quattro funzionanti attualmente sul territorio ucraino, è la più vicina alla Polonia. Si trova a meno di un centinaio di chilometri dal confine. Domenica, il presidente Putin avrebbe assicurato l’Ue che non ha intenzione di bombardare gli impianti nucleari ma Jarek è preoccupato lo stesso. A Rivne, dove è nato 38 anni fa sono rimasti, curati da un fratello e una sorella, i suoi genitori che si considerano “troppo vecchi” per fuggire da un paese in guerra. Jarek ha dodici fratelli. Alcuni di loro lavorano con lui presso una piccola impresa edile vicino a Varsavia. La scorsa settimana, Jarek è riuscito a portare a casa sua una sorella con il bambino fuggiti dall’Ucraina. “Adesso loro sono sani e salvi ma il marito di mia sorella è rimasto a combattere in Ucraina”, ci racconta. Esattamente come tanti altri mariti delle donne con figli minori che a centinaia di migliaia attraversano la frontiera polacca.
Jarek continua a fare dei viaggi tra casa sua e uno di sei valichi di frontiera tra Polonia e Ucraina da dove porta nella capitale polacca delle donne esauste con i figli impauriti. Ormai nella sola Varsavia i rifugiati superano i 150mila. In tutta la Polonia sono ben oltre un milione.
“Porto dalla frontiera una mamma e tre suoi bambini piccoli. Ci potrai ospitare?”, chiede a Janka, una delle tante operatrici che da giorni operano a Varsavia, un ragazzo ucraino che lei appena conosce. Le telefona domenica mattina, mentre sta alla guida, viaggiando dal valico di Korczowa verso la capitale. Siccome Janka non ha la possibilità di ospitare una famiglia con tre bimbi, prende il telefono, e nel giro di un’ora risolve tutto. Accoglierà a casa sua una donna con un unico figlio, mentre la mamma con tre bambini verrà ospitata da un’altra famiglia, con un appartamento più grande.
“A dire il vero nessuna di queste mamme pensa di rimanere in Polonia a lungo; sperano di poter quanto prima tornare nelle loro case, anche se sono state distrutte e bruciate dalle bombe”, dice Giovanna che lavora presso un centro per rifugiati allestito in fretta e furia nel palaghiaccio Torwar a Varsavia. Racconta poi che la maggior parte delle donne hanno portato con sé tutto l’occorrente per i loro bambini. Camicette, pigiamini, pantaloncini e tutine pulitissimi, inamidati e stirati alla perfezione, sistemati negli zaini e nelle piccole valigette insieme ad amatissime bambole o orsacchiotti di peluche preferiti dai loro figli. Le mamme però spesso non hanno avuto tempo per raccogliere le proprie cose, e così l’attesa di molte ore per passare la frontiera diventa per loro ancora più difficile.
Prima dei forti bombardamenti che hanno distrutto l’aeroporto di Vinnycja, al centro dell’Ucraina, Siergiej e Maria, entrambi ottantenni, hanno lasciato la loro casa diretti in Polonia, per andare poi dal figlio che vive negli Stati Uniti. Partendo, potevano presagire che non sarebbero più tornati. In Ucraina hanno lasciato il nipote. “Il ragazzo si è arruolato nell’esercito”, dicono. Al valico di Medyka una ragazzina polacca si affretta a dispiegare per loro dei seggiolini, perché possano riposare prima di riprendere il viaggio. Accanto, posate per terra, giacciono due piccole borse con i ricordi di tutta la vita.
A tutti i valichi di frontiera con Ucraina i cellulari strillano in continuazione. Quelli che chiamano sono spesso amici o conoscenti, o addirittura degli sconosciuti amici di un qualche parente dei profughi. Telefonano per concordare il modo di ritrovarsi una volta i profughi saranno passati dalla parte polacca del confine. Ma i cellulari strillano anche quando cadono i missili in Ucraina dove è stata inventata un’applicazione speciale che avverte dei bombardamenti, quando bisogna scendere nei sotterranei e nascondersi nelle cantine, in attesa della fine dell’attacco.
Apparentemente ai valichi di frontiera dalla parte polacca regna un caos totale. C’è la polizia, anche quella stradale, ci sono le guardie di frontiera, i vigili del fuoco pronti a trasportare con i loro bus i rifugiati presso dei centri di assistenza allestiti dalle autorità, la Caritas, le Ong, e infine tanti polacchi pronti a offrire vitto alloggio e tutto l’aiuto necessario a chi ha bisogno. Molti in mano hanno dei cartelli con l’indicazione della città dove sono diretti. E così, nonostante la confusione, da quella folla di persone disorientate, tra coloro che distribuiscono cibo e bevande, vestiti, coperte, prodotti per l’igiene personale e buoni consigli, ogni qualche minuto parte una macchina, un pulmino o un autobus carico di passeggeri e diretto verso una città polacca, anche a 700 chilometri, all’altro capo del paese.
Nei giorni scorsi, a vedere qual è la situazione alla frontiera è arrivato anche il Segretario di Stato americano Anthony Blinken, in visita in Polonia.
“Adesso la cosa più importante è permettere a queste persone in fuga dalla guerra di diventare autosufficienti. Bisogna trovare loro del lavoro, i bambini devono andare a scuola, i più piccoli negli asili nido” dice Olga Burova, in Polonia da una decina di anni fa. È ucraina, lavora come insegnante in una scuola per bambini disabili e adesso aiuta i rifugiati. Apprezza molto l’accoglienza dei polacchi, e racconta che “ci sono perfino delle famiglie con bambini disabili che si offrono di ospitare le mamme con figli con gli stessi problemi perché vivono in abitazioni già predisposte per ospitare un disabile”. Sottolinea però che adesso l’aiuto più importante è questo che andrebbe fornito all’interno dell’Ucraina a coloro che combattono.
Attraverso i valichi di frontiera verso l’Ucraina passano i carrelli pieni di generi di prima necessità destinati a quelli che al confine attendono in file interminabili, per giorni. Ma passano anche i camion e gli autobus con viveri e prodotti vari per le zone interne del paese in guerra. Questi mezzi tornano poi in Polonia, vengono riempiti di nuovo, e ripartono. “La frontiera tra la Polonia e l’Ucraina di fatto non c’è più” ha dichiarato qualche giorno fa il presidente Zelensky, ringraziando le autorità polacche per gli aiuti e il sostegno, anche nell’ambito internazionale
Infatti, negli ultimi giorni, la Polonia sembra fare di tutto per dare una mano alla popolazione del paese vicino. E di queste ultime ore la notizia che le autorità hanno deciso di permettere ai cittadini ucraini di usufruire di tutti i contributi sociali previsti per le famiglie con figli, di coordinare gli aiuti su scala nazionale in modo che tutti i rifugiati possano trovare un alloggio, e possibilmente anche un impiego. Nessuno pensa più a costruire dei muri lungo il confine con l’Ucraina, e sono risultate infondate o addirittura delle “fake news” le notizie relative a delle difficoltà di alcuni rifugiati non-ucraini ai valichi frontalieri. “In Polonia vengono accolte tutte le persone che fuggono dalla guerra”, ha ribadito domenica il Ministero degli interni polacco, non avvalendo l’ipotesi che sarebbero invece i frontalieri ucraini a rendere più difficoltoso, soprattutto ai rifugiati da paesi africani, il passaggio verso la Polonia.
Oksana Zabuzhko, una delle più note scrittrici ucraine è giunta in Polonia il 23 febbraio, alla vigilia dell’attacco russo contro il suo paese, pensando di poter tornare a Kiev qualche giorno dopo. Adesso anche lei ha bisogno di protezione e assistenza. Zabuzhko nega con forza una visione stereotipata dell’Ucraina divisa tra l’occidente cattolico che guarda verso l’UE e parla ucraino, e la parte orientale che sarebbe filorussa perché russofona. Zabuzhko smentisce l’esistenza di “un mitico grande popolo russo con una affascinante ed esotica anima” citata sia da Putin che dal Patriarca Kirill domenica scorsa. La scrittrice invece pone l’accento sulla molteplicità di lingue, culture, fedi, usi e costumi che da sempre hanno caratterizzato i popoli al confine tra Est e Ovest.
Anna T. Kowalewska