Le parole al tempo del virus. Noi, iper-sociali, tutti in clausura
La consideravamo una condizione arcaica, illogica, innaturale. Poi la “clausura” è diventata “normalità”. E il nostro sguardo è cambiato...
Chi storicamente sceglie la “clausura” è per accezione distante da noi e dal nostro mondo. Si ha l’impressione tangibile, oggi più che ieri, che chi sceglie la clausura (dal latino tardo clausura, derivazione di claudĕre «chiudere»; cfr. chiusura) sia un “sepolto vivo”. Uno che si “mette fuori dal mondo” per diventare un “recluso” volontario, che non disdegniamo a definire come un “fuori di testa”.
Lo stesso calo anagrafico di uomini e donne in clausura, intesi come i religiosi che scelgono il ritiro dal mondo, concorre a sostenere questa tendenza epocale oltre che grammaticale.
“Recluso” si è mostrato un termine arcaico fino a poche settimane fa, quando a sdoganare la parola “clausura”, sono stati i decreti governativi che ci hanno imposto una “clausura sociale” come mai si era vista prima.
Da questa nostra inimmaginata condizione senza precedenti storici, il termine “clausura” è diventato popolare: «Sono/siamo in clausura. Mi sento un recluso. Sono fuori dal mondo. Mi sento un eremita. Chiusi nel nostro eremo. Ecc.». Chi l’avrebbe mai detto che la clausura sarebbe tornata di moda cosi!? Noi “iper sociali”, trasformati in “claustro-sociali”.
Un cambio radicale di vita ed esperienza, non per scelta ma come precauzione sanitaria che ci ha stravolto l’esistenza. Tanto che oggi, dalla nostra “clausura di casa”, tutto quello che abbiamo vissuto sta assumendo un nuovo significato.
Magari continuiamo a disseminare parole senza conoscerne spesso il profondo significato, ma oggi siamo più coscienti che quella quotidianità è e sarà diversa per tutti. Non sarà certo una “clausura perpetua” la nostra. Ma il tempo “claustrale” che ci è stato imposto, seppure a scadenza (come speriamo), sta mutando il valore della nostra “normalità” e noi stessi con essa. Inevitabilmente, con tutti i suoi significati e simboli.
Un vento nuovo che è arrivato fin dentro quei luoghi storici della tradizione claustrale: i monasteri. È qui che qualche giorno fa, in un dialogo a distanza con una clarissa francescana del monastero di Montagnana, mi sono sentito rispondere: «Ci fa molta impressione sentire arrivare il silenzio da fuori fin dentro il nostro chiostro!». Segni dei tempi e del tempo.