Le parole al tempo del Coronavirus
Quando si dice: “Le parole hanno un peso”. “Il peso delle parole”. “Pesare le parole”. “Le parole, sono come pietre”!? Orbene, col cambio di vita che ci è arrivato inaspettatamente, sono mutati i significati di molte parole d’uso comune, che hanno riacquistato un loro “peso” specifico. Uno spessore simbolico che sembrava decaduto.
Cosicché – c’è da credere – nella rivoluzione delle abitudini in cui siamo caduti, le “parole” che diamo e riceviamo rappresentano il nuovo linguaggio del tempo virale. Un primo termine che andrebbe analizzato è quello che più di molte altre parole è l’idealizzazione stessa del Codiv19: distanza.
“Distanza e distanze” sono interpretazioni differenti in termini di altezza. Portata. Taser (neologismo inglese). Profondità. Spazio. Lunghezza e tiro. In noi però, dominava la certezza che la “distanza” fosse questione prevalentemente fisica. A volte sentimentale. Altre di nostalgico ricordo. Quasi mai però la “distanza” che ci separa dall’altro. Sì, è tornata in voga la distanza. “A dovuta distanza”. “Prendere le distanze”. Ce lo dicono i medici, lo ribadiscono i politici, ce lo chiedono gli amici: «State in casa. Lontani dalle persone. Adottate distanze di sicurezza…».
Siamo arrivati a pensare che la “distanza” è sopravvivenza. Un “distanziamento” non solo personale, ma globale. Epocale! Il “mantenere le distanze” non è più solo un modo di dire. È la nuova regola civile, che segna una nuova tappa nella storia umana. Mai prima d’ora gli uomini hanno sperimentato questa condizione, che è tanto imposta quanto volontaria. Se c’è un nemico da cui tenersi distante, questo noi non lo vediamo ma sappiamo di doverlo combattere a distanza.
Questa nuova tendenza è polare: da una parte ci educa a distanziarci dalle cose terrene. Dall’altra però induce a riscoprire il valore della vicinanza, annullando quell’ovvietà o banalità di cui eravamo caduti vittime. Ci viene offerta l’opportunità di rivalutare, come non mai, un abbraccio, un saluto, un bacio. Gestualità spontanea, che ora ci viene negata.
La grande lezione della “distanza” quindi, ci riporta a quel “basta poco” per sentirsi vivi. A quel “hic et nunc”, qui e ora. Più la vita prende le sue distanze e la morte si fa minacciosa, più siamo destinati a prendere coscienza di ciò che siamo o non siamo. All’essere o non essere! Lezione che l’ottusa umanità non ha mai compreso a sufficienza, distanziandosi puntualmente dall’essenzialità della realtà. Si vive d'istinti e d'istanti e non distinti e distanti!