Lavoratori “fragili”. Quasi mezzo milione, fino a dicembre scorso, i posti di lavoro persi per la pandemia
Come riqualificare e reimmettere nel mondo del lavoro i soggetti con scarsa qualificazione, con un’età più avanzata, con grande difficoltà ad acquisire nuove competenze?
Ha fatto scalpore la statistica realizzata dall’Istat sulla perdita di posti di lavoro causata dalla pandemia. Quasi mezzo milione, fino a dicembre scorso; ma non è stato questo il dato più clamoroso. Il fatto è che quasi tutti questi lavori “bruciati” erano appannaggio di donne. Sono loro ad avere pagato il prezzo più alto della crisi.
Non è stata però una sorpresa, perché (per ora) a saltare sono state soprattutto le occupazioni precarie – tempo determinato, stagionali – e quelle di basso profilo reddituale, soprattutto nel settore dei servizi: pulizia, turismo, ristorazione, assistenza nei negozi…
Non è stata una “pulizia etnica” di genere, insomma, ma la naturale conseguenza di una crisi che ha colpito ferocemente determinati settori, dove tantissime donne italiane trovavano una fragile occupazione. Si tratta di mansioni spesso semplici, “di fatica”, in cui non occorre avere una specifica preparazione e al contempo spesso si conciliano con i tempi della famiglia e della genitorialità.
La questione vera è un’altra, atteso un ritorno alla normalità che sarà assai graduale, ma che poi riassorbirà almeno in parte l’occupazione perduta: come riqualificare e reimmettere nel mondo del lavoro i soggetti con scarsa qualificazione, con un’età più avanzata, con grande difficoltà ad acquisire nuove competenze? Insomma, quei milioni di lavoratori e lavoratrici più “fragili”?
Fallito completamente il progetto del reddito di cittadinanza nella parte in cui riallocava nel mondo lavorativo chi chiedeva il sussidio – a proposito, a marzo rimarranno a spasso pure le migliaia di navigators assunti per tale scopo –, c’è da agire su due fronti, mirando al medio-lungo periodo e utilizzando al meglio i soldi del Recovery Fund.
Sicuramente c’è da rivoluzionare il sistema di sussidi alla famiglia da parte dello Stato, soprattutto per quelle che hanno uno o più figli. Ci sono interessanti progetti di legge già scritti, che riordinano la materia, incrementano le risorse, fanno fare alla società italiana un passo avanti. Questo si può, si deve fare subito.
Copiando le migliori esperienze straniere, si può mettere in piedi un sistema di aiuto al collocamento serio ed efficace: basta fare il contrario di ora per avere rapidamente risultati migliori.
Più massicciamente, bisogna agire sulla formazione scolastica. Se il 98% delle ragazze si iscrive a un generico liceo, e alla fine lascia gli studi o prosegue su strade formative senza sbocchi occupazionali, è difficile che il trend si inverta. Tra sezionare molecole in un laboratorio, e sezionare prosciutti in un supermercato passa anzitutto una differenza di prospettive future e di redditi guadagnati che nessun decreto legge potrà abolire con un tratto di penna. Anche perché sono le famiglie stesse a dover fare la differenza, nel momento delle scelte. Nel frattempo, lo Stato esca dal primo Novecento e organizzi percorsi formativi consoni ai decenni futuri.