La vera Padova. Una radiografia oltre gli stereotipi: un arcipelago di fondazioni tra salute, diritti e cultura e la vitalità delle start-up
Un arcipelago di Fondazioni di varia natura che investono in salute, diritti e cultura, di start up innovative che fanno balzare la città del Santo in testa al Nordest e una vocazione verde ormai radicata fin dagli anni Ottanta
Vent’anni dopo il Duemila, quando Padova si guarda allo specchio come riflette la sua identità? Certo, la città mostra anche l’immagine raffinata, una bellezza da copertina. A volte, rivela il tratto ostinato dell’inossidabile supponenza. Spesso ricorre al vecchio trucco della tradizione. Quasi mai si lascia scrutare al di là dell’apparenza. Ma qual è la vera Padova, oltre gli stereotipi?
Fondazioni
Nell’apposito registro pubblicato dalla Regione, al 31 dicembre 2018 in città si contavano 32 Fondazioni oltre a una decina che risultavano cancellate o addirittura estinte. Un arcipelago di sigle che almeno restituisce il profilo delle attività... “fondanti”. Spicca fin dal 1970 l’Opera Immacolata Concezione che attualmente fra Padova e le province di Treviso e Vicenza si preoccupa di oltre 2 mila anziani, impiegando più di 1.550 dipendenti di 28 nazionalità diverse.
Il registro regionale consente di confermare la vocazione di Padova sul fronte sociosanitario. Sono Fondazioni attive, e significative da questo punto di vista, la Scuola di sanità pubblica (affidata all’ex preside di medicina, Santo Davide Ferrara) e il Musme che gestisce il Museo della medicina (presidente Francesco Peghin). Ma poi il ventaglio si apre con la Fondazione per la ricerca biomedica avanzata, Irpea, Patavium Anffas, la Fondazione per lo studio delle complicanze del diabete, Lionello Forin Hepatos, la Fondazione per l’autismo, l’Istituto Città della speranza, Federico Milcovich, Casa ai Colli, Vite Vere down Dadi.
Il quadro è alquanto esauriente della storia e della vitalità di Padova, perché le Fondazioni spaziano dal Distretto 108TA3 del Lions club a Nuova società (che cura il patrimonio dell’ex Pci), dalla Fondazione Bano (mostre d’arte) alla Fondazione Lanza, da quella intitolata a Pietro Nonis fino all’Orchestra di Padova e del Veneto. Non mancano, infine, i Geometri del Gattamelata o gli Ingegneri Padova...
Il “bilancio”
Da almeno un quarto di secolo Padova non è più la “capitale finanziaria” del Veneto. E non solo perché le due storiche cassaforti bancarie (Carisparmio e Antoniana) sono state fagocitate altrove. L’economia mediatica si ostina a concentrare i riflettori sulle classiche statistiche produttive, tuttavia Padova dimostra la sua vitalità con un paio di cifre eloquenti.
Il Ministero dell’economia riassume le dichiarazioni dei redditi 2017 delle persone fisiche: 153.491 contribuenti in città con 165 milioni e 529.006 euro di reddito da fabbricati per 74.757 soggetti e un miliardo, 969 milioni e 103.365 euro di reddito generato da 80.166 contribuenti. L’altro numero riguarda le start up innovative, 248 l’anno scorso. Padova è così al sesto posto della classifica nazionale alle spalle di Milano, Roma, Napoli, Torino e Bologna.
«Se siamo la capitale del Nordest nel mondo delle start up – commenta Gianni Potti, delegato di Confindustria Veneto per innovazione e ricerca – è perché Padova vanta potenzialità fuori dal comune. E conta su un bacino universitario di livello internazionale: ingegneria e astrofisica si dimostrano avanti anni luce. Stiamo seminando bene e dobbiamo proseguire, guardando al futuro. Qui abbiamo tante realtà interessanti, dove uno più uno può fare... tre».
L’Ateneo contribuisce con l’incubatore Start cube - Galileo visionary district, che conta anche sulla collaborazione con Fiera di Padova. Ultima start up varata da pochissimo è Viamadeinitaly, che ambisce a “linkare” in tempo reale gli artigiani del Made in Italy con il mercato internazionale 24 ore su 24. Un’idea di tre cervelli applicati all’impresa: Marco Reiter, che a Berlino si era inventato il brand della moda e-commerce Scarosso; Tommaso Zanin con un’esperienza nel controllo di gestione a Fiamm Spa; Marco Mutto che proviene dalla società di consulenza Koro.
Visioni a due ruote
«Vedere la nostra città con occhi diversi e meravigliarsi nello scoprire piccoli segreti che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, ma anche parlare dei muri che ci circondano, dipinti dai nostri street artist: questo è Alternative Padova». Così i promotori di un vero e proprio tour fra le opere d’arte di strada, che non a caso viene proposto a chi utilizza la bicicletta per attraversare la città e vederla, finalmente, in modo meno distratto. Due ruote al posto di quattro, e comunque senza motore. Una visione alternativa di Padova già soffocata dallo smog e dalla frenesia fine a se stessa.
Del resto, a ben guardare, sono già 168 i chilometri di piste ciclabili che si snodano intorno e dentro il cuore del centro storico. E si fa strada l’idea di una “Bicipolitana” che porterebbe a 300 i chilometri per le biciclette. Il progetto è pronto, in autunno è stato licenziato, non resta che realizzarlo. Da qui a una maggiore attenzione all’ambiente il passo sembra breve...
Un futuro green?
Ecologia, pace, no nuke, terzo settore. Sono parole-chiave che a Padova hanno messo radici fin dagli anni Ottanta. Sembrava, allora, un’utopia “verde e arcobaleno” in un mondo dominato dall’incubo della guerra nucleare come da modelli di sviluppo senza responsabilità.
Oggi si chiama green economy: Padova si è “riciclata” nella prima città del Veneto per numero di ecoinvestimenti. Tutti hanno sposato l’economia sostenibile, più o meno circolare. Nessuno dimentica più di calcolare l’impatto ambientale delle produzioni, non solo energetiche. E “pensare globalmente, agire localmente” non è più solo lo slogan del cigno verde. Dal 14 al 18 luglio è programmato di nuovo in città EcoFuturo, festival che sarà dedicato alle nuove comunità energetiche e al crowdfounding.
Dal passato (precisamente fin dal 1984) è maturata intanto l’esperienza della coop El Tamiso, primo esempio di vendita diretta dei prodotti della terra nei mercatini biologici. «Sono cresciuti i soci, oltre 50 non solo locali; i collaboratori a vario titolo sono una quarantina; il volume delle attività supera i 10 milioni di euro» ricorda Franco Zecchinato, senza dimenticarsi l’esperienza dei Gruppi d’acquisto solidale
Il grigio che incombe
Ma nel 2020 lo specchio di Padova espande l’eredità di un baratto a senso unico. È il comune con la massima densità abitativa dell’intera regione: 2.260 residenti per ogni chilometro quadrato. Si vive ammassati, in edifici spesso d’altri tempi, incuranti di aver speculato sul consumo di territorio. Padova è stata letteralmente cementificata al 49,51 per cento, secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
Il “ciclo del mattone” per decenni ha divorato superfici e denaro, con gli interessi privati capaci di piegare sempre il bene comune. Perfino il commercio – settore storicamente prevalente in città – ormai esige supermercati di quartiere e mega centri commerciali, quanto capannoni della logistica o betoniere al servizio della grande distribuzione.
Con buona pace delle “armi” di distrazione di massa o del marketing politico, oltre il 10 per cento delle aziende e imprese padovane (2.338 nel 2018) operano nel settore immobiliare. Un “modello” pervasivo che spazia dall’edilizia di cantiere alle società di gestione del risparmio, dagli studi professionali alle agenzie di compravendita, dai mutui bancari alle consulenze di varia natura.
Radiografie alternative
Ma la città si legge meglio anche così: 333.185 utenti e 151.413 prestiti nel Sistema bibliotecario urbano del Comune. Al San Gaetano si possono sfogliare quotidiani e periodici, ma anche consultare volumi e materiale multimediale nei percorsi a scaffale aperto della biblioteca civica. Padova possiede una biblioteca in ognuno dei sei quartieri, ma offre anche opzioni originali: il Centro di documentazione per le scuole dell’infanzia in via Raggio di sole e la Biblioteca dello sport in corso Garibaldi.
Un prezioso sguardo analitico è, invece, garantito dal lavoro del Gruppo di ricerca Slang che fa capo alla sezione di sociologia del dipartimento Fisspa dell’Università. Nel recente convegno su “Migrazioni e diseguaglianze nella salute” è, fra l’altro, affiorato una sorta di doppio sintomo da studiare: le case senza anima viva affidate al lavoro in solitudine delle colf straniere, sebbene in tempi di Coronavirus siano tornate a ripopolarsi dei propri inquilini.
L’ultima “radiografia” scaturisce intrecciando le cifre dell’anagrafe con quelle della Camera di commercio. La popolazione straniera residente a Padova supera quota 34 mila, cioè il 16 per cento del totale. Con più di 9 mila cittadini è la Romania il primo paese di provenienza, più del doppio dei moldavi. Cinesi e nigeriani restano sotto la soglia dei 3 mila residenti.
Ma le imprese cittadine con titolare straniero capovolgono tutto: oltre 500 attività sono di chi proviene da Nigeria o Cina, quasi la metà delle 2.400 nel censimento camerale.
Sanità: quasi 8 mila posti di lavoro
A Padova, di fatto, la vera “zona industriale” – rimasta tale a cavallo dei due millenni – è rappresentata dalla sanità pubblica. Gli ultimi dati ufficiali del 2017 indicano 4.071 dipendenti nella sola Azienda ospedaliera, mentre nell’ex Ulss 16 erano 3.347 fra la città e gli altri comuni di competenza. Vanno poi aggiunti i 540 dipendenti dell’Istituto oncologico veneto (dati 2019).
Dunque, la tutela della salute collettiva garantisce oltre 7.800 posti di lavoro. Senza dimenticare che i quattro poli ospedalieri padovani (via Giustiniani, Sant’Antonio, Colli e Iov) catalizzano un indotto più che consistente in materia di servizi, beni e appalti.