La rete dei musei è per l’Alzheimer
Le meraviglie dell’arte per imparare a comunicare oltre la memoria, con i linguaggi nuovi dell’immaginazione e delle capacità emotive, in aiuto delle persone che soffrono di demenza senile. L’obiettivo? Costruire un'ipotesi di vita. Articolo pubblicato sulla rivista SuperAbile Inail
“Chi si trova davanti a una persona con Alzheimer deve fare un’ipotesi di vita, non una diagnosi”. È questa affermazione – frutto dell’esperienza umana e professionale di Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione italiana di psicogeriatria – ad animare il senso profondo del lavoro dei musei toscani nei confronti di coloro che convivono con Alzheimer e altre forme di demenza. Considerare il museo e il contatto con l’arte un’occasione speciale per dare forma a questa ipotesi di vita della persona con demenza, oltre agli interventi socio-assistenziali e farmacologici, è il filo conduttore di un’azione che in Toscana matura da circa dieci anni. Il lavoro di una rete informale di musei ha dato vita oggi a un sistema formalizzato, che connette tra loro numerose realtà del territorio attive per l’Alzheimer.
Dal Museo delle macchine tessili di Vernio al complesso monumentale di Santa Maria della Scala a Siena, o ancora dal Museo di storia naturale dell’Università di Pisa a Calci fino al Museo audiovisivo della resistenza di Fosdinovo, sono quasi 50 le singole realtà che fanno parte del sistema, costituito formalmente nel 2020 e supportato dalla Regione Toscana. Un’organizzazione, questa, che rappresenta il punto di arrivo delle attività e delle iniziative di formazione sul tema proposte dalla Regione, diffuse nelle varie province toscane, per dare vita nei musei a squadre di lavoro capaci di interagire e accogliere persone con Alzheimer.
“Nel sistema, così come nella rete informale, convivono musei tra loro profondamente diversi per estensione, settore a cui sono dedicati, organizzazione interna – spiega Luca Carli Ballola, educatore geriatrico, membro del coordinamento musei toscani per l’Alzheimer –. Il punto è condividere, in questa diversità, scelte di fondo, princìpi, strategie e metodi dei progetti messi in campo. Si parte dall’atteggiamento nei confronti della demenza, vista come una condizione che si protrae nel tempo, piuttosto che come una malattia, e per cui non possono essere efficaci interventi mirati solo a contenere il problema”. Ecco, quindi, lo spazio per il ruolo sociale dei musei e della cultura come un modo di stare insieme delle persone di una comunità. L’arte diventa così la chiave e il mezzo attraverso cui esprimersi e continuare a comunicare mediante canali diversi, l’immaginazione al posto della memoria, la fantasia al posto delle capacità logico-cognitive: su questo lavorano, pur nella diversità dei programmi, i musei per l’Alzheimer, ospitando quando ancora era possibile, prima che l’emergenza sanitaria da covid-19 portasse alla chiusura degli spazi, gruppi di persone insieme a coloro che se ne prendono cura, prima di tutto i familiari. È proprio la presenza dei familiari durante le attività proposte – non concepite come interventi terapeutici – un altro punto condiviso dai musei per l’Alzheimer: vivere le esperienze insieme ai propri cari consente a coloro che ne hanno cura di imparare nuovi linguaggi e nuove vie di comunicazione, da utilizzare nella quotidianità, basati sulle straordinarie capacità emotive che ogni persona con demenza conserva. In questo senso risulta fondamentale la squadra di lavoro che progetta e conduce le attività nei musei, e nelle modalità a distanza, e che vede accanto agli educatori museali anche educatori geriatrici con specifiche competenze sui bisogni non sanitari delle persone con demenza.
“Costruire un’ipotesi di vita vuol dire, quindi, anche cambiare la percezione del problema da parte delle comunità in cui tutti noi viviamo – afferma Carli Ballola. Buona parte delle conseguenze delle demenze, infatti, non derivano dal decadimento neurologico ma piuttosto da richieste dell’ambiente a cui le persone non sono più in grado di rispondere. Se riusciamo, però, a modificare il contesto, si possono alleviare questi problemi, e in ciò entra a pieno titolo il ruolo culturale dei musei, per trasformare le comunità in luoghi in cui le persone con demenza possano vivere il più a lungo possibile”.
Di fronte a una quotidianità così profondamente modificata dalla pandemia, la maggior parte dei musei per l’Alzheimer ha costruito modalità di relazione a distanza, nel tentativo di mantenere contatti e trovare vie di comunicazione alternative. “In molti casi si cerca di continuare i progetti attraverso le videoconferenze, sulle piattaforme dedicate che consentono di conservare in qualche modo le relazioni – spiega Cristina Bucci, educatrice museale, membro del coordinamento musei toscani per l’Alzheimer –. La squadra che svolge l’attività sceglie un tema, un percorso, un’immagine o una suggestione, cercando di stimolare una conversazione con le persone coinvolte e i loro familiari. Ognuno così può comunicare la propria impressione su un’opera d’arte in modo del tutto simile a quello che avviene quando si è fisicamente presenti nel museo. Ci si interroga a partire da domande molto semplici”.
La tecnologia può realmente aiutare a sentirsi più vicini. La fondazione Palazzo Strozzi, non a caso, ha pensato anche all’utilizzo della chat, attraverso WhatsApp, per riuscire a portare avanti il progetto “A più voci”: le voci sono proprio quelle delle persone con Alzheimer e dei loro familiari, invitati a condividere riflessioni, fotografie, pensieri, a partire in questo caso da un’installazione visibile sulla facciata di Palazzo Strozzi a Firenze. Per rimanere insieme lontani ma vicini il Mudev, Museo diffuso dell’empolese valdelsa, ha invece ideato un quaderno formativo con alcune opere del patrimonio, pensato per favorire e continuare quella narrazione creativa con la persona anziana e i propri familiari che già si svolgeva all’interno dei musei. Il quaderno, scaricabile dal sito web Museiempolesevaldelsa.it, viene periodicamente aggiornato con opere nuove, a disposizione dei familiari nelle proprie case e di educatori all’interno delle residenze sanitarie assistenziali.
Proprio l’evoluzione in corso del tipo di pubblico a cui si rivolgono le attività dei musei ha un’importanza cruciale per lo sviluppo dell’intero progetto. “Con l’integrazione dei programmi museali tra le proposte del territorio a livello socio-sanitario – sottolinea Bucci – i m usei non si rivolgeranno solo alle persone accolte nelle residenze o nei caffè e atelier Alzheimer. Da ora in poi saranno direttamente gli assistenti sociali a indirizzare le persone che vivono con la demenza verso la partecipazione alle attività museali, nell’ambito di piani di assistenza individualizzati. Sarà possibile così avvicinarsi proprio a chi può avere un bisogno più urgente delle nostre attività: le persone che risiedono ancora in famiglia, che hanno appena saputo di dover vivere con l’Alzheimer o altre forme di demenza”.
L’articolo è tratto dal numero di SuperAbile INAIL di maggio, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità