La matassa autonomia: il vero nodo da sciogliere è sui Lep

Mentre la Prima commissione del Senato ha avviato la discussione dei 557 emendamenti sul disegno di legge, il vero nodo da sciogliere è sui Lep

La matassa autonomia: il vero nodo da sciogliere è sui Lep

Qualcuno se lo ricorda? Il 23 settembre 2015 l’allora capo delegazione del Carroccio al Senato, Roberto Calderoli, entrò di slancio nel Guinness dei primati presentandosi agli uffici di Palazzo Madama con 82.730.460 proposte di modifica, prodotte da un algoritmo, al disegno di legge di riforma costituzionale firmato da Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme del Governo guidato da Matteo Renzi. Sicché, otto anni dopo, per lo stesso Calderoli, oggi nei panni di ministro per gli Affari regionali e le autonomie, dovrebbe essere un gioco da ragazzi dipanare la matassa di 557 emendamenti al disegno di legge 615, sull’attuazione dell’autonomia differenziata per le Regioni a statuto ordinario, che sono stati inoltrati alla commissione Affari costituzionali del Senato. Nella relazione al disegno di legge, il ministro della Lega assicura che «con l’autonomia differenziata non si vuol dividere il Paese, né favorire Regioni che già viaggiano a una velocità diversa rispetto alle aree più deboli dell’Italia. L’auspicio è che tutti aumentino la velocità: sia le aree del Paese che con l’autonomia possono accelerare sia quelle che finalmente possono crescere». Tornando agli emendamenti, sui quali la Prima commissione del Senato ha avviato la discussione martedì 4 luglio, va detto che ben 34 proposte di modifica al testo Calderoli arrivano dai gruppi della maggioranza: sette da Forza Italia, due dalla Lega, altri due del gruppo Civici d’Italia-Noi Moderati. Ben 23 però sono stati sottoscritti da Fratelli d’Italia, partito al quale – non è un mistero – sta assai più a cuore il presidenzialismo. Ma è naturalmente l’opposizione che cerca di ostacolare la marcia della riforma Calderoli, a oltre duemila giorni dal referendum consultivo sull’autonomia svoltosi in Veneto il 22 ottobre 2017. Il Movimento Cinque Stelle ha presentato agli uffici di Palazzo Madama 204 emendamenti; il gruppo misto ne ha formalizzati 99; Azione-Italia Viva ne sostiene 22; il gruppo per le Autonomie nove. Un pacchetto significativo (ben 189 proposte di modifica) è stato depositato dal Partito Democratico. Su questo versante si sta spendendo con vigore il senatore Andrea Martella, segretario veneto del Pd, che è autore del disegno di legge 273 “Attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario”: «Le nostre proposte – ha argomentato Andrea Martella, affiancato da Ivo Rossi, già dirigente del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, e dalla consigliera regionale Vanessa Camani – vanno in tre direzioni. Innanzitutto non è possibile realizzare su tutte le 23 materie. Anzi, il titolo V della Costituzione andrebbe rivisto. Dovremmo concentrarci su alcune materie e funzioni utili alle imprese, agli enti locali e ai cittadini. L’autonomia non è un’arma da brandire da qui alle elezioni Europee del 2024, né una medaglietta da sfoggiare». In secondo luogo, per il senatore dem, «il Parlamento dev’essere soggetto protagonista di questo lavoro, nelle fasi di confronto, di negoziazione e di approvazione delle intese con le Regioni. E pare fondamentale definire quanto prima il nodo dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), che devono essere approvati con legge per definire l’uguaglianza dei cittadini in tutto il Paese».

Ma cosa sono i Lep? Come ricorda Welforum.it, il portale dell’Osservatorio nazionale sulle politiche sociali, «i livelli essenziali delle prestazioni costituiscono il nucleo di prestazioni da erogare in modo uniforme sul territorio nazionale al fine di garantire la tutela dei diritti civili e sociali nelle diverse macroaree definite dalla legge (sanità, scuola, assistenza, trasporti), indipendentemente dalla Regione di residenza». Il ddl Calderoli stabilisce però all’articolo 3 che la determinazione dei Lep sia affidata a uno o più decreti del presidente del Consiglio dei ministri, i cosiddetti Dpcm. «L’aspetto sorprendente – osserva a questo proposito Welforum.it – è che le procedure individuate non prevedono un coinvolgimento delle Camere, neanche in sede consultiva, nel procedimento di adozione dei suddetti Dpcm di determinazione dei Lep e dei correlati costi e fabbisogni standard». Diversamente da quanto previsto, ad esempio, per i Livelli essenziali di assistenza (Lea), approvati con il Dpcm del 20 gennaio 2017, che ha ottenuto preliminarmente il via libera delle commissioni parlamentari competenti. Di qui, secondo Welforum.it, il rischio d’incostituzionalità per una procedura che si sottrae al vaglio del Parlamento. Nel braccio di ferro tra maggioranza e opposizione pesano anche le dimissioni presentate il 4 luglio da quattro componenti di primo piano del Clep, il Comitato per l’individuazione dei Lep: si sono fatti da parte i presidenti emeriti della Corte costituzionale Giuliano Amato e Franco Gallo, l’ex ministro per la Funzione pubblica e gli Affari regionali Franco Bassanini, il presidente emerito del Consiglio di Stato Alessandro Pajno. «Prima di attribuire nuove funzioni alle Regioni – sostengono i quattro dimissionari, è necessaria una valutazione dei Lep che il Paese è effettivamente in grado di finanziare. Una valutazione che non può essere fatta materia per materia, giacché si rischierebbe di non poter finanziare i Lep necessari a garantire l’esercizio dei diritti civili e sociali nelle materie lasciate per ultime». La valutazione, a detta dei quattro big dimissionari, spetta al Parlamento e il ricorso al criterio della spesa storica non risolve il problema, poiché la spesa storica riflette le disuguaglianze territoriali nel godimento dei diritti fondamentali. Va ricordato che nei mesi scorsi si erano già dimessi dal Comitato l’ex presidente della Camera Luciano Violante, l’ex ministro Anna Finocchiaro e il giurista Franco Gaetano Scoca. Mentre il Pd ha immediatamente chiesto che il presidente del Comitato, il professor Sabino Cassese, sia chiamato a riferire in commissione Affari costituzionali, per il ministro Calderoli le defezioni recenti non rappresentano un motivo sufficiente per rallentare l’iter della riforma. «Diciamo che forse non è un caso – ha commentato Roberto Calderoli – che siano tutti e quattro, come area, intellettuali di sinistra. Comunque andiamo avanti con gli altri 58 membri del Comitato, che fanno parte delle migliori intelligenze del Paese».

Il disegno di legge suddiviso in dieci articoli

D’interesse sono il primo che definisce i criteri generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. L’articolo 2 disciplina il procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione. L’articolo 3 fissa le disposizioni relative alla determinazione dei Lep.

«La mancata autonomia costa 4 mila euro ai padovani»

Secondo Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, l’associazione delle piccole e medie imprese, «l’urgenza della riforma è evidenziata dal dato del residuo fiscale saldo tra spese ed entrate del settore pubblico riferite a ciascuna regione: il mancato federalismo costa al territorio padovano circa 3,6 miliardi di euro l’anno. In base ai dati messi a disposizione dall’Agenzia per la coesione territoriale e dal portale per l’autonomia della Regione Veneto, nel periodo 2015-2019, il residuo fiscale medio del Veneto è pari a meno 18,7 miliardi (meno 3.819 euro pro capite). Un dato, quello pro capite, che consente di circoscrivere e calcolare l’impatto anche per il territorio padovano e i suoi 938 mila abitanti: è pari a 3,58 miliardi, circa il 12 per cento del Pil provinciale. In altri termini, il reddito “disponibile” sul territorio si riduce del 12 per cento rispetto a quello prodotto».

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