La bellezza dell’incontro con Dio. Quando il Signore ci parla nel qui e nell’ora della nostra semplice vita

Non solo rose e fiori nel racconto dei modi in cui i mistici si sono avvicinati alla parola di Dio, ma anche dolore e patimenti, e gioia di unione.

La bellezza dell’incontro con Dio. Quando il Signore ci parla nel qui e nell’ora della nostra semplice vita

L’immaginario collettivo spesso si deve arrendere ad una realtà molto più ricca e complessa dei sogni. E d’altronde, come lo Shakespeare della Tempesta sapeva bene, noi siamo fatti della stessa sostanza di quei sogni. Solo che dobbiamo rendercene conto, come il Bardo e molti altri ci avevano avvisato: ad esempio il Pascoli che ci invitava a vedere con occhi nuovi, giovani e “risvegliati”, come direbbero in oriente, i fiori, le piante, i tramonti che il buon Dio ci offre a piè sospinto, nonostante la nostra abitudinaria indifferenza.

Come quando si ragiona di misticismo e noi pensiamo a lande lontane anni luce, a luoghi esotici, a montagne inaccessibili, mentre la realtà ci mostra donne ed uomini in preghiera e alla ricerca del silenzio di Dio in metropoli di decine di milioni di abitanti o a due passi da casa nostra in una anonima cittadina d’occidente. Perché il Dio dei mistici è fuori, certo, ma anche dentro, e quel dentro è qualcosa di meno scenografico di quanto si possa pensare. Qualcosa che ci risveglia e ci indica un percorso dentro, non solo fuori.

Andarsene, come Francesco d’Assisi, e a volte fare ritorno non per gloriarsi, ma anzi per fare i conti con l’incomprensione -e lo scherno- degli amici d’un tempo. Non è un caso che uno dei libri che può aiutarci a esplorare questo territorio affascinante, “Dio è bello (da morire)” di Roberto Fusco (San Paolo, 121 pagine, 12,50 euro), membro della Fraternità Francescana di Betania, dedichi intense pagine al Poverello e a quella crisi che lo porterà lontano dalla bella vita d’un tempo e poi alla difficile decisione di abbandonare la guida del neonato ordine che da lui aveva preso origine. Come recita il sottotitolo, “La mistica cristiana spiegata a tutti”, il fine del volume è proprio l’abbattimento della visione unicamente esotica del misticismo attraverso il racconto, agile e avvincente, di come Mosè, Guglielmo di Saint-Thierry, Caterina da Siena, Teresa di Lisieux, oltre che san Francesco, abbiano conosciuto la volontà di Dio anche attraverso un profondo e severo scavo nel sé più abissale. Uno scavo soprattutto paziente, perché fra Roberto ci ricorda che Mosè non divenne il condottiero del popolo di Israele così all’improvviso, ma dovette attendere quaranta lunghi anni nel deserto. Prima lezione: il cammino mistico è molto più vicino a noi di quanto ci abbiano fatto pensare i Kolossal biblici, con anni e anni di ripensamenti e titubanze e con meno tuoni e lampi scenografici, ma con la resa ai limiti della ragione e l’abbandono alla “conoscenza vera”. La lontananza dei mistici sta infatti nello scavo interiore e non nelle miglia percorse.

Ne sapeva qualcosa Caterina Benincasa, poi santa Caterina da Siena, quando scelse non il consueto monastero femminile, ma le Mantellate della Penitenza di san Domenico, e perciò un terz’ordine, e questa è un’altra picconata che Fusco dà al muro dell’immaginario collettivo, quello che vorrebbe i mistici o in lande abissalmente lontane o chiusi al mondo in monasteri inaccessibili. E che però ci lasciano testimonianze della loro “quotidianità mistica” in opere in cui viene narrato l’incontro con l’Altro: nel caso della tosta, irremovibile, ammonitrice senese in “Dialogo della Divina Provvidenza”.

Non solo rose e fiori nel racconto dei modi in cui i mistici si sono avvicinati alla parola di Dio, ma anche dolore e patimenti, e gioia di unione, nel segno non della divinità cui sacrificare, ma della condivisione amorosa; il linguaggio di queste sante e di questi santi è quello dell’incontro d’amore, che, come il Bernini della romana Estasi di santa Teresa aveva genialmente compreso, segue le umane manifestazioni dell’estasi d’amore.

Sono i modi umani dei santi, pur sempre donne e uomini, a dirci ciò che si può dire -e comprendere- di un incontro che non ha bisogno di lontananze, ma di un “normale” qui e di una qualsiasi ora del nostro giorno terreno.

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