L’assedio del sociale. Le grinfie criminali sul Terzo settore vulnerabile
L’assedio del sociale è l’inchiesta, fresca di stampa, curata da Antonio Vesco e Gianni Belloni: uno sguardo ravvicinato sui fenomeni illegali, dal Veneto alla Campania, nel settore della cooperazione sociale che nei decenni ha cambiato identità, aprendosi al mercato
Un “carotaggio” sociologico preciso, documentato e in presa diretta. È l’originale inchiesta che scava a fondo fra le pieghe del welfare “indiretto”: L’assedio del sociale. Il Terzo settore tra criminalità, mercato e politica (Mimesis, 224 pagine, 20 euro). Il volume della collana “Cartografie sociali”, frutto di un lungo lavoro sul campo, è fresco di stampa. Curato da Antonio Vesco dell’Università di Catania, insieme a Gianni Belloni, che da lustri anima Lies (il Laboratorio d’inchiesta economico-sociale) ed è il direttore del Centro di documentazione e inchiesta sulla criminalità in Veneto. «Il fenomeno non è mai stato oggetto di studio sistematico – anche se punteggia le cronache giornalistiche – e, per come intendiamo i fenomeni criminali, il nostro interesse non è tanto rintracciare le responsabilità, ma comprendere i contesti all’interno dei quali alcuni fenomeni prendono forma. Insomma utilizzare l’emergere di pratiche criminali come sensori di difficoltà e problemi più ampi» evidenzia subito Gianni Belloni.
Terzo settore non soltanto sinonimo di ong, volontariato e non profit, qual è l’altra faccia della medaglia? «La parola chiave è vulnerabilità: è la sensazione che abbiamo rilevato intervistando i protagonisti della cooperazione sociale. Vulnerabilità causata dai repentini cambiamenti nella legislazione, dalla richiesta pressante di maggiori competenze, capacità organizzative e di innovazione rispetto a un tempo, dalle difficoltà economiche aggravate dai rapporti di dipendenza con la politica. E dal prendere piede di un approccio prettamente manageriale, che appare in contraddizione con le sfide sociali – e politiche – che gli operatori della cooperazione sociale affrontavano in passato. In questo contesto, di debolezza se vogliamo, rintracciamo l’emergere di pratiche criminali in cui il soggetto cooperativo in qualche modo si conforma alle richieste di stare al gioco».
Avete “inchiestato” Veneto e Campania: perché la scelta di realtà così diverse? Cos’è emerso? «Abbiamo indagato due territori che hanno alle spalle importanti tradizioni di cooperazione, ma che esprimono modelli di impresa sociale molto diversi tra loro. Tradizioni diverse si intrecciano con elementi di contesto a loro volta molto diversi che determinano peculiari configurazioni dell’agire cooperativo. È interessante notare che pratiche simili vengono connotate in modo differente, due diversi modi di concepire e praticare l’intreccio tra economia e solidarietà – e le sue derive illegali o criminali. Ciò che a Nord è ricondotto alla chiave di lettura dell’economicizzazione e della corruzione imprenditoriale, al Sud rimanda immediatamente al clientelismo, alla corruzione politica e al ruolo ineludibile dei gruppi mafiosi. La diversa percezione emerge nitidamente dall’analisi dei dati della Guardia di Finanza sugli amministratori di cooperative sociali denunciati: la prevalenza di reati di bancarotta in Veneto e di reati associativi in Campania è certamente frutto delle peculiarità dei territori, ma anche di una diffusa pre-comprensione dei due contesti sociali e criminali, sia tra chi denuncia sia tra chi persegue questi reati. Se nel caso campano cerchiamo spiegazioni legate all’intreccio tra politica, corruzione e criminalità organizzata, nel caso veneto tendiamo a un’interpretazione legata alla presunta logica imprenditoriale che guida i soggetti».
E il mondo cattolico in questo scenario? «Quella che all’epoca si chiamava cooperazione di solidarietà sociale nasce anche in Veneto a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, nel pieno del fermento della Chiesa conciliare. Viene generata all’interno di un involucro sociale coeso, dove sembra svolgere un ruolo armonico con quello che era un indirizzo dello sviluppo locale. Ma dagli anni Novanta assistiamo a una progressiva frantumazione di quell’involucro in cui aveva prosperato. Si esaspera la competizione, mentre il mondo politico locale mostra una crescente incapacità di regolazione intervenendo sempre più in favore di particolari filiere politiche ed economiche».
Qual è la situazione attuale? Cosa segnala il recente caso di studio che avete sviscerato? «Come ci ha raccontato un esperto del settore “è molto più complicato capire il perché, quali sono le modalità di muoversi, perché si gioca tutto su percorsi personali”. Anche un caso giudiziario che abbiamo preso in esame rientra in questo schema. E non sempre le culture politiche originarie, nel nostro contesto quella cattolica, sono in grado di fare da argine. Tuttavia, con un’avvertenza...»
Prego... «Occorre tenere bene a mente la criminalizzazione che da destra colpisce le pratiche di solidarietà, in particolare nei confronti dei migranti. Ma anche i tanti lavoratori del sociale che, malgrado tutto, concepiscono la loro opera come una pratica di liberazione e cambiamento. A loro dedichiamo il nostro lavoro».
Cosa succede quando il non profit incontra il profit...
Da un estratto della pubblicazione: «I mondi del profit e del non profit tendono oggi a compenetrarsi progressivamente e a vivere le medesime logiche... Questa compenetrazione – ammettono diversi esponenti della cooperazione sociale intervistati per questa ricerca – da un lato fa paura, dall’altro affascina... La tendenza che emerge da questo panorama d’incertezza e di repentini cambiamenti è quella a una crescente divaricazione tra le grandi cooperative e le organizzazioni di piccole dimensioni. Queste ultime, la cui risorsa principale sono i volontari, sono ancora gestite attraverso un’ampia partecipazione interna e sono in gran parte autofinanziate. Le grandi cooperative, viceversa, presidiano la maggior parte delle risorse economiche e umane e concorrono agli appalti in aree diverse, perdendo uno degli elementi specifici, il legame con il territorio».
L’assedio del sociale. Il Terzo settore tra criminalità, mercato e politica a cura di Antonio Vesco e Gianni Belloni, (Mimesis edizioni, 224 pagine, 20 euro).