L’apologo dello “Stato ristorante”. L’Italia non si può più permettere la cura migliore, che nel caso di contagio è il chiudere tutto
Dobbiamo trovare un equilibrio tra una pandemia che ci perseguiterà per molti mesi a venire, la necessità di avere strutture sanitarie atte ad affrontarla, l’esigenza di non bloccare la macchina economica.
Adesso abbiamo lo Stato ristorante, che cioè ristora le attività economiche dai mancati guadagni provocati dalle chiusure imposte causa virus. Viene da chiedersi cosa succederà se la pandemia dovesse durare non il mese stabilito via decreto, ma per tutto il 2021 o comunque fino a primavera: da ristorante si passerebbe a mensa dei poveri, con una coda lunga così.
Ma non fa solo parte del folklore italico la tipologia di decisioni prese un po’ così, come chiudere le trattorie da una certa ora in poi ma lasciare aperte fabbriche e centri commerciali. La verità è che l’Italia non si può più permettere la cura migliore, che nel caso di contagio è il chiudere tutto e ognuno distante dagli altri. Lo abbiamo fatto, ci ha salvato in un primo tempo ma ci è costato decine di miliardi di euro che non avevamo. Ce li hanno prestati (in realtà ancora no), ne abbiamo pure rifiutati – vedi il Mes –, dovremo restituirli. E se il disastro economico si perpetuasse?
Ecco il motivo del simbolismo (chiudere piscine e osterie): far capire che siamo all’antipasto di una cena indigeribile per tutti. Vogliamo proseguire?
No. Dobbiamo trovare un equilibrio tra una pandemia che ci perseguiterà per molti mesi a venire, la necessità di avere strutture sanitarie atte ad affrontarla, l’esigenza di non bloccare la macchina economica. A primavera e finora hanno sopperito prestiti e cassa integrazione. Ma lo Stato ristorante è veramente alla frutta, troppo matura per giunta. Diciamo che la coperta può funzionare fino a dicembre, gennaio. Poi saranno chiusure, licenziamenti di massa, problemi sociali che quelli che stiamo sperimentando in questi giorni sono solo stuzzichini.
Produzione e vendite devono continuare, ora a qualsiasi costo. Non giriamoci attorno: una delle due-tre fonti di ricchezza di questo Paese – il turismo – sarà un ricordo per lungo tempo. La sua estinzione di massa metterà in crisi grandi città (Roma e Firenze su tutte); interi settori economici – accoglienza, ristorazione, cultura, trasporti, fiere e congressi, servizi connessi –; filiere agroalimentari; fior di entrate tributarie per gli enti locali e lo Stato. Torneremo agli anni Cinquanta, con il turismo locale e qualche sparuto danese che arrivava con la roulotte sul lago di Garda. Stiamo parlando di una fetta di economia che valeva dal 15 al 20 per cento di un Pil già prima stagnante.
Quindi la manifattura e le esportazioni devono funzionare, saranno loro a sopportare il peso di tutto per due-tre anni almeno. Prepariamoci, non sarà assolutamente facile: a chi si esporta, se i nostri Paesi clienti non escono dai loro parziali o totali lockdown?