Kioene, da industriali della carne a pionieri di burger vegetali. Nutrirsi senza devastare la Terra
Da industriali della carne a pionieri di burger vegetali in anni in cui il tema ambientale era di scarso interesse. La scelta della padovana Kioene nell’era dell’alimentazione di massa
La storia di innovazione e impegno della famiglia Tonazzo, grandi industriali padovani della carne, che attraverso l’impresa Kioene ha saputo diventare protagonista nel settore del cibo a base di proteine vegetali. La prospettiva insieme economica, ambientale ed etica da perseguire e garantire a tutti gli abitanti del pianeta – che saranno dieci miliardi tra pochi decenni – l’accesso al cibo e al cibo salutare. Sono i due filoni principali del nuovo libro di Marco Panara, giornalista, esperto di economia, per decenni responsabile dell’inserto Affari&finanza di Repubblica, dedicato all’azienda padovana Kioene e alle prospettive dell’industria alimentare non legata alla carne e agli altri prodotti di derivazione animale. Nel saggio La rivoluzione dell’hamburger dalla carne al vegetale (Post Editori, 2024) che per lunghi tratti si legge come un romanzo, il giornalista ripercorre le tappe dell’avventura dei Tonazzo, che inizia nel 1888 in una macelleria a Villanova di Camposampiero, e che attraverso cinque generazioni arriva oggi a porsi, attraverso il marchio Kioene, ai vertici della produzione e distribuzione di alimenti a base vegetale. «La storia dei Tonazzo è interessante perché da industriali della carne si inventano pionieri in un settore “rivale” e lo fanno consapevoli della non sostenibilità ambientale dello sfruttamento animale a fini alimentari. Una sensibilità questa davvero in anticipo sui tempi – spiega Marco Panara – Propongono l’hamburger vegetale nel 1988, quando i temi ambientali erano riservati a un’élite ristretta e i movimenti verdi iniziavano a muoversi. Albino Tonazzo e il fratello Stefano hanno cercato e preparato qualcosa per la quale non c’era mercato e nemmeno esempi da copiare, nessuna fonte cui ispirarsi. Ma la loro storia è frutto di ostinata dedizione e della forte convinzione che dobbiamo rispettare la natura e che il cibo rappresenti uno dei tramiti principali tra l’uomo e l’ambiente».
La sperimentazione e la ricerca della famiglia di Villanova è lunga, racconta Panara, gli investimenti vengono fatti senza riscontri immediati, «per più di vent’anni le proteine vegetali sono andate avanti sulle spalle dell’attività delle carni» si legge nel libro, perseguendo un intuito che il giornalista rileva anche nella scelta di continuare a innovare anche nel settore della carne, dove i Tonazzo colgono le trasformazioni dei gusti dei consumatori e dei venditori. «Dal dopoguerra a oggi le cose sono molto cambiate e i Tonazzo hanno trasformato il mercato accompagnando le nuove richieste». «La filosofia che ha portato la Kioene coniuga passato e futuro – aggiunge Fulvio Camilli, direttore generale dell’impresa che produce alimenti a base di proteine vegetali – e il rispetto per la Terra che sta alla base delle nostre scelte. I nostri miniburger agli spinaci devono sapere di spinaci perché sono fatti di spinaci, non scimmiottare il gusto, la consistenza, il colore della carne. Per questo parliamo di ricette pulite». Riuscendo nel tentativo di coniugare due percorsi apparentemente in conflitto come l’allevamento di bovini per produrre e vendere carne e prodotti a base di proteine vegetali.
Non c’è una visione discriminatoria, settaria di chi compie una scelta rispetto all’altra relativamente a ciò che mette sul piatto: «Crediamo sia importante essere consumatori consapevoli – aggiunge Camilli – e la consapevolezza sta crescendo, soprattutto tra i giovani ma non solo. Si può continuare a mangiare la carne, magari riducendone il consumo e scegliendola di qualità e non derivante da allevamenti intensivi. Anche in azienda proponiamo percorsi di educazione per crescere tutti nella capacità di scelta e nella riduzione dello spreco del cibo. Tutti possono essere artefici del futuro proprio e di quello degli altri, senza attendere grandi svolte dalle varie Cop dei Paesi». Agli scenari futuri nel mondo dell’alimentazione consapevole è dedicata la seconda parte del libro che propone dati, per lo più allarmanti perché delineano uno sfruttamento animale nel mondo che pone quesiti anche di tipo etico, ma che apre a percorsi verso i quali dirigersi con una certa fiducia. Chiarisce Marco Pamara: «La storia di Kioene è la storia di un’impresa che ha saputo anticipare i tempi e dimostra che è possibile nutrirsi senza devastare il pianeta. Oggi l’impatto della produzione della carne e, in misura minore, dei prodotti a base di proteine animali come latte e uova, è mostruoso. Gli allevamenti sono responsabili del 14,5 per cento delle emissioni totali, occupano due terzi del territorio agricolo per la produzione di cereali che servono ad alimentare gli animali, consumano enormi quantità di acqua, originano malattie infettive, sono responsabili di dispersione di grandi quantità di ammoniaca, il letame e l’uso eccessivo di fertilizzanti a base di azoto e fosforo causano eutrofizzazione delle acque. Inoltre l’uso eccessivo di antibiotici negli allevamenti intensivi aumenta la resistenza ai farmaci antimicrobiotici e spesso gli animali vengono allevati in enormi concentrazioni, senza spazi in condizioni pericolose e non accettabili». Ma la richiesta di cibo aumenta, di pari passo all’aumento della popolazione mondiale che arriverà a dieci miliardi. «Cibo ce n’è per tutti anche se ancora oggi 800 milioni di persone soffrono la fame e 2,3 miliardi sono in condizioni di insicurezza alimentare; dobbiamo sprecarne meno e sapere che il ritmo che ha portato le 70 milioni di tonnellate di carne prodotte nel 1970 alle 337 di oggi (70 di carni bovine 115 di carni suine, 150 di pollame) non è sostenibile dal pianeta ed è dannoso per la nostra salute – conclude Panara – Ci vogliono 260 milioni di tonnellate di proteine vegetali per produrne 110 di proteine animali inclusi uova, latte e derivati. Le monoculture di cereali per alimentare gli animali spingono alla deforestazione. Non si tratta di diventare tutti vegetariani, ma di equilibrare le nostre diete. E non possiamo chiedere questa conversione a chi sta iniziando oggi a consumare la carne come “cibo aspirazionale”, da ricchi, come fecero i nostri nonni qualche decennio fa».