Ius scholae, valanga di emendamenti sul testo per la riforma della cittadinanza
Sono 728 quelli presentati in commissione Affari Costituzionali alla Camera, di questi 484 sono della Lega, 167 di Fratelli d’Italia. Il relatore della legge Brescia (M5S): “Questione di civiltà che va sottratta dalla campagna elettorale di qualsiasi partito”. Proposte di modifica arrivano anche dalle associazioni
Una valanga di emendamenti sul testo di riforma della legge sulla cittadinanza. Sono 728 quelli presentati in commissione Affari Costituzionali alla Camera al testo sullo ius scholae elaborato dal relatore e presidente, Giuseppe Brescia (M5s). Di questi 484 sono della Lega, 167 di Fratelli d’Italia, 15 del Pd, 11 di Italia Viva, 10 di Forza Italia, 9 del MoVimento 5 Stelle, 5 rispettivamente di Leu e Coraggio Italia, 11 di Azione-+Europa, 9 da Europa Verde, 2 di Alternativa.
“Nei prossimi giorni incontrerò i rappresentanti di tutti i gruppi per definire possibili punti di incontro sulle diverse richieste di modifica. In queste ultime settimane in Commissione abbiamo discusso in maniera ordinata di tutto e continueremo a farlo anche su questa proposta di legge molto attesa. È una questione di civiltà che va sottratta dalla campagna elettorale di qualsiasi partito”, spiega Brescia. Il rischio è che la mole di emendamenti servano solo a fare ostruzionismo per una legge che né la Lega né Fratelli d’Italia vogliono. Cruciali saranno quindi le prossime settimane per trovare un accordo sul testo.
Cosa dice il testo sullo ius scholae
Il testo unificato presentato dal relatore prevede che possa richiedere la cittadinanza italiana il minore straniero nato in Italia o arrivato nel paese entro il compimento del dodicesimo anno di età, dopo aver frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Il minore deve, inoltre, aver risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia.
Le richieste di modifica dei diretti interessati
Anche le associazioni che rappresentano i ragazzi di seconda generazione hanno avanzato delle proposte di emendamento per migliorare il testo. In particolare la campagna Dalla Parte giusta della storia ha redatto un testo, che prevede alcuni punti: “a previsione del riconoscimento della cittadinanza in relazione alla frequenza per cinque anni di uno o più cicli scolastici è, dal nostro punto di vista, da salutare con molta positività. Nel testo base adottato dalla Commissione ci sono, infatti, numerosi elementi interessanti. L’apertura di questa possibilità anche per chi, pur non nascendo in Italia, arriva prima dei 12 anni è una scelta condivisibile, alla luce dell’assenza, nello scenario attuale, di forme di riconoscimento della cittadinanza per chi è figlio di genitori non italiani, è nato in un altro paese e si è trasferito in Italia nei primi anni di vita. Inoltre, si condivide l’idea di non vincolare l’ottenimento della cittadinanza all’esito positivo del percorso scolastico ma di legare il riconoscimento della stessa alla mera frequenza. In aggiunta, è condivisibile l’idea di non sottoporre le e i giovani a un esame che certifichi il livello di conoscenza - si legge nel testo -. Sarebbe ingiusto discriminare chi, a vario titolo, incontra ostacoli nel suo percorso di formazione e configurerebbe un complessivo travisamento del ruolo degli insegnanti che si troverebbero a decidere sul riconoscimento di un diritto così determinante”.
Tra gli aspetti migliorabili del testo la campagna chiede che il riferimento alla residenza legale debba riferirsi alla sua disciplina codicistica e non alla dimensione anagrafica. “Molte persone, infatti, pur soggiornando regolarmente in Italia sono prive dell’iscrizione anagrafica, spesso in ragione degli ostacoli, di fatto e di diritto, che ritardano o impediscono il suo conseguimento. Non appare equo che i e le minori debbano essere penalizzati in ragione della difficoltà della registrazione della dichiarazione di residenza. In aggiunta, all’interno del testo base è specificato che la dichiarazione deve essere resa da entrambi i genitori legalmente residenti - continua il testo -. Appare preferibile che tale dichiarazione possa essere prodotta anche soltanto da uno dei genitori legalmente residente. Inoltre, sarebbe auspicabile che sia individuata una modalità con la quale anche chi è figlio di genitori non legalmente residenti - si pensi alla condizione di chi, perdendo il lavoro, finisca in condizione di irregolarità - possa conseguire la cittadinanza italiana”. Si chiede inoltre che nel testo sia configurata una disciplina transitoria, che consenta l’acquisto della cittadinanza da parte delle persone che hanno maturato, prima dell’entrata in vigore della legge, i requisiti descritti.
Dalla Parte giusta della storia chiede anche una modifica che contempli altre forme di acquisizione della cittadinanza, non legate solo al percorso scolastico. La proposta adottata dalla Commissione non contempla, infatti, forme di riconoscimento tramite ius soli. “È dal nostro punto di vista un gap da superare: riteniamo che, accanto allo ius scholae, sia politicamente e giuridicamente opportuno prevedere forme di riconoscimento automatiche con la nascita - sottolinea la campagna -. È quindi necessario prevedere che sia cittadino italiano chi, figlio di genitori stranieri, nasce nel territorio della Repubblica, e che a tal fine sia sufficiente una pregressa anzianità del soggiorno dei genitori non particolarmente onerosa. Inoltre, è opportuno prevedere che lo sia anche chi nasce nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia nato in Italia, senza ulteriori requisiti inerenti alla regolarità o anzianità del soggiorno. Questa seconda ipotesi consentirebbe l’emersione dalla marginalità per molti cittadini stranieri - ad esempio di origine rom - privi di cittadinanza (e a volte di titolo di soggiorno) nonostante siano nei fatti italiani anche da tre generazioni”. Infine si chiedono tempi più rapidi per le forme di acquisizione già previste dalla legge 91/92 come la naturalizzazione. “Attualmente il tempo ordinario di residenza legale per tale riconoscimento è, per gli stranieri non comunitari, di dieci anni, ai quali va aggiunto un iter lungo e largamente incerto. È una tempistica assolutamente incongrua: deve essere significativamente ridotta. Anche il requisito della residenza continuativa, intesa nella dimensione anagrafica, è escludente: punisce chi, spesso senza alcuna colpa, non ha continuità nell’iscrizione anagrafica. Il conseguimento della cittadinanza italiana per residenza continuativa può essere rappresentato, allo stato attuale, come una lunghissima e iniqua corsa ad ostacoli. La pubblica amministrazione ha allo stato attuale ampio potere discrezionale”. Infine per quanto riguarda la disciplina dell’acquisto della cittadinanza per matrimonio “è utile che le modalità ritornino quelle precedenti alle modifiche intervenute negli ultimi anni e che anche questa procedura sia qualificata come diritto soggettivo” conclude il testo.