Itinerari a sud di Padova. Per secoli terra “appetitosa”, ora custode di ciò che non c’è più
Terza tappa degli itinerari tra “pietre e fede”. Dopo aver esplorato i Colli Euganei – nei numeri del 16 giugno e 21 luglio – è il momento del territorio a sud di Padova.
L’anticipazione della Bassa
L’anticipazione della Bassa è una porzione di terra veneta da sempre sospesa. Tanti campi, gli stessi, ampi, estesi, sfibranti, che si ritrovano sul piatto paesaggio che va verso i grandi fiumi; ma il Conselvano e il Piovese sono altra cosa; forse per questo, tali terre sono state per secoli appetitose, invitanti bocconi di conquista. A tali luoghi hanno guardato con coinvolgente interesse famiglie di riguardo, signori padronali e golose abbazie, anche foreste. Quello che rimane sono testimonianze, segni, soprattutto di ciò (molto) che ora non c’è più. È ancora libera allo sguardo, ad esempio, sul margine che introduce alla Bassa precoce, quasi sospesa tra i Colli e le pianure del Conselvano; il nome dice tutto: Santo Stefano di Carrara (ora Comune di Due Carrare), un martire, una famiglia, un monastero. San Michele, invece, era arcangelo caro ai cristiani di casa; lo si incontra, denso nelle presenze, in un lembo di terra, protettore di due chiese (ora parrocchiali), un tempo parte di consistenti complessi benedettini: San Michele di Bagnoli e l’omonimo di Candiana. Della Madonna della Misericordia rimane visibile solo il volto, il resto del dipinto è stato corroso dall’umidità, ricoperto da un manto. Eppure è un’icona cara alla devozione popolare, da quando si narra che la Vergine scelse un bambino muto per manifestare il suo desiderio di avere un tempio a Terrassa, in terra conselvana. Furono designati prima i Canonici di San Marco di Mantova, che ne garantirono la custodia dal 1499 al 1584, poi i Camaldolesi di San Michele di Murano (dal 1584) che se ne andarono con Napoleone. Come spesso accade, si racconta che da queste parti passò anche Francesco, che non poté fare a meno di lasciare un segno del suo transito. Al di là della narrazione, è autentico il fatto che a Ca Murà (Casamurada), minuscolo borgo ancora vivo in comune di Maserà, vissero i francescani. Un tempo anche Polverara era territorio di eccezionale densità monastica. Qui, nei primi decenni del 13° secolo, sorsero ben tre cenobi, tutti, almeno inizialmente, appartenenti ai Benedettini Albi: Sant’Agnese, Santa Margherita e Santa Maria della Riviera. Anche un po’ più in là, a Brusadure, a est di Bovolenta, si ha notizia nel 1228 della presenza di una comunità maschile, Santa Maria del Tresone; stessa vicenda in Pontelongo, a San Giovanni Battista, con la residenza di monaci bianchi. Dei tre chiostri di Polverara non rimane traccia, tranne una colombara; mentre a Brusadure vi è ancora la vecchia chiesa monastica (?) ridotta a garage e magazzino. Sempre a Bovolenta, giunsero anche i Conventuali (1265) e fondarono il chiostro di San Francesco, confiscato e demolito nel 1806. Quasi non ci si accorge della sua presenza, lungo la strada dei Vivai che guarda da Padova alla laguna di Chioggia. Eppure è un oratorio dalla storia nobile, nonostante il nome riduttivo: l’antica Santa Maria a Saonara è chiamata infatti dee muneghete, cioè delle “piccole suore”. Quanto rimane di un monastero femminile aggregato, probabilmente ai primi del Cinquecento, a quello cittadino di Sant’Anna.
San Vito, la Madonna e il centro commerciale
In poche centinaia di metri, secoli di storia della religiosità, ma anche del costume. Il centro commerciale (Piazza Grande), il maggiore della Saccisica, sta proprio nel mezzo: da una parte quello che rimane del più antico (forse) monastero di Piove di Sacco, dall’altra il luogo di devozione più caro alla gente del posto. Certo, non è facile per la maggior parte dei consumatori immaginare che quel manomesso edificio che ospita un mobilificio e una pizzeria, un tempo fosse una clausura; eppure le Benedettine di San Vito e Modesto, almeno dal 1132, vivevano proprio qui. Dall’altra parte, affacciata sul Fiumicello, sta la Madonna delle Grazie, dove, vicino a quello che ora è il santuario, era cresciuto un convento di Francescani. San Francesco dei Conventuali, a Piove di Sacco, era un posto di riguardo; pare che la sua origine risalisse agli anni fra il 1225 e 1250. Madre Franceschina de’ Corradis (o Corradi) nell’anno 1515 chiese alle autorità di Piove di poter avere in concessione la locale chiesetta di Santa Giustina (o San Rocco, zona ospedale). Le Agostiniane misero in piedi la clausura; il monastero della Concezione fu soppresso nel 1810; l’edificio, in parte demolito, in parte destinato ad abitazioni private.
Sotto il Monte Sacro
Nella terra delle mele e delle pere, i claustrali arrivarono molto presto. A Pernumia prima c’erano le Benedettine, con la comunità di Santa Maria Mater Domini, in località Rovina; anche i Conventuali, forse già al tempo di Francesco, aprirono un piccolo convento, dedicato a Santa Maria, scomparendo presto. A San Pietro Viminario sorse (1393) una dimora per i Minori dell’Osservanza; due lati del chiostro (soppresso nel 1769) sono ancora visibili. All’ombra del Monte Sacro monasteri e conventi sono stati all’altezza della rilevanza di Monselice. Il vissuto più consistente fu di certo quello legato alla comunità di San Giacomo, una delle esperienze forti e caratterizzate del movimento dei Penitenti; poi c’era San Salvatore (vulgo San Salvaro), cioè della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo sul Monte Tabor, cenobio dei Benedettini di Santa Giustina; una della grandi corti dell’abbazia padovana, si ergeva poco lontano dalla porta orientale del castello. Il monte Ricco, o Riccio, sovrasta la città della Rocca; la guarda dall’alto, in una posizione ambivalente, di protezione ma pure di minaccia. Per questo la trascorsa vicenda del colle fu lunga e tormentata. Qui gli Eremitani comunque restarono fino al 1769, tempo della soppressione. Il senatore conte Vittorio Cini, negli anni Venti del secolo scorso, costruì sul monte una villa; dopo la Seconda guerra mondiale, il nobile fece dono di tutto ai Conventuali di Padova. Pare certo che i Francescani siano arrivati molto presto, nel Duecento, a Monselice, nel convento di San Francesco (in via San Biagio, dove ora è la biblioteca); se ne andarono cacciati dai veneziani (1769), poi tutto fu raso al suolo. Anche i Domenicani fecero base sotto la Rocca, in Santo Stefano. Furono tre Terziarie Domenicane a fondare (1683) la comunità di Santa Rosa; trasferite in contrà del Borgo Perdù, nel 1810, la confisca; nel 1855 le Sorelle della Misericordia di Verona che diedero vita all’istituto scolastico Poloni, divenuto nel 2013 il polo educativo e culturale Sabinianum. I Carmelitani furono molto attivi a Monselice, a cominciare dalla chiesa del Carmine, vicino al porto sul canale Bisatto. Oggi il Carmine è una sala per incontri pubblici. Il carisma carmelitano, fino al 2023, era ancora vivo sotto la Rocca, grazie alle Scalze, giunte da Ferrara nel 1951. Trovarono sistemazione in una modesta villa veneta in via San Biagio, divenuta troppo ampia per ospitare le quattro suore rimaste, inevitabile la chiusura del convento.
Quelle celle come carceri?
Si entra attraverso una porta di pietra di suggestione medievale, che immette in un mondo chiuso. È proprio così: Santa Maria delle Carceri, abbazia (almeno dal 1408) ma anche microcosmo, dentro al quale si poteva trovare tutto, compresa la protezione. Qui, per secoli hanno vissuto uomini di Dio, di spiritualità e provenienze diverse; ora è abitata occasionalmente dagli scout, in nome di una coerente ricerca di un luogo dove far parlare il profondo dell’anima.
Este, intorno alla Maggiore
Este, dentro, è una lunga via piena di portici, intersecata da rimandi laterali altrettanto robusti, e la piazza, l’unica veramente ritenutale tale, per questo la Maggiore. San Martino, veterana chiesa, ancora presente, vigile. La tradizione vuole che risalga all’epoca longobarda, di proprietà fin dal Trecento delle Benedettine di Santo Stefano di Padova. Già prima del 1238 era presente in città un gruppo di Conventuali, con un chiostro dedicato a Santa Maria e quindi a San Francesco (forse nel secolo 15°). Agli inizi del Seicento, si decise di procedere alla ricostruzione; confiscato nel 1806, il convento fu abbandonato, dal primo dopoguerra ospitò il Collegio Vescovile Atestino; oggi accoglie un istituito formativo. La chiesa di Santo Stefano si trova nominata per la prima volta in un documento del 1144; soltanto un paio di secoli più tardi (1348) si ha notizia di un gruppo di eremite, di Regola ignota, che abitavano i dintorni. Infine la soppressione ottocentesca; la costruzione della Casa di ricovero (1841) inglobò quasi tutto. La basilica di Santa Maria delle Grazie custodisce memorie domenicane. I Predicatori, a metà del Quattrocento, edificarono chiesa e chiostro; rimasero fino al 1770, quando dovettero abbandonare. Adesso è un cinema, ma molti secoli or sono (1576) fu il Consiglio della comunità di Este (1576) a decidere di dare vita a un chiostro benedettino femminile, dedicato a San Michele. Agli inizi del 1500, i Minori Osservanti chiesero di poter procedere a un loro insediamento; qualche anno dopo, la Confraternita di Sant’Antonio Abate donò un terreno in cui sorgevano, fin dal 1423, un piccolo ospedale e un oratorio dedicati a Santa Maria delle Consolazioni. I Francescani costruirono la chiesa (1510); quando i veneziani cacciarono i frati (1769), il complesso (detto anche degli Zoccoli) fu acquistato dal Comune per poi trasformarlo in ospedale. Di antico rimane soltanto un cortile lastricato di trachite; quasi nessuna traccia invece della chiesa, eretta nel 1591. I Cappuccini giunsero ad Este nel 1589 e si costruirono un convento, dedicato a San Giovanni Battista, sul colle proprio dietro il castello; i Francescani rimasero fino al 1806, quando arrivò la confisca.
La varietà di Montagnana
I discepoli di Francesco, dunque, non si erano dimenticati della Bassa più profonda, approdando anche a Montagnana prima del 1238 (?), vicino a un oratorio intitolato a San Giorgio, detto poi San Francesco, in borgo San Zeno, dove vi era anche una dimora di Clarisse. Furono i Carraresi a farli spostare (1350) dentro le mura cittadine; per ospitarli fu costruito San Francesco Grande (o di Dentro), dove i frati rimasero sino alla soppressione del 1769; dopo quasi due secoli di travagli, dal 1963, il luogo accoglie nuovamente una comunità di Clarisse. Per una corretta e cronologicamente motivata ricognizione sulla presenza claustrale a Montagnana bisogna però partire da Sant’Antonio Abate, il luogo più antico, del quale si tramandano notizie almeno dal 12° secolo; convento abitato dai così detti frati “del Tau” o “Antoniti”. Non è vetusto, ma di tradizione; la sua nascita risale infatti al 1502, quando un gruppo di Benedettine, provenienti da Santa Maria della Misericordia di Padova, venne accolto a Montagnana, dove fondò un monastero dedicato a san Benedetto. Nel 1807 quando il governo napoleonico cancellò la comunità per sostituirla dal 1811 con un Collegio femminile di Stato, che sussiste ancora (Educandato statale San Benedetto). La prima notizia di San Salvatore (chiamato San Salvaro), nella campagna della Bassa, sulla sponda destra del Fratta, in Comune di Urbana, risale al 1084; già nel 1099 ospitava una scuola di sacerdoti, poi Gerardo, vescovo di Padova, affidò (1181) il chiostro ai Canonici Portuensi; fu da allora che San Salvaro si legò all’abbazia di Carceri, divenendo camaldolese (1408). Tutto confiscato nel 1690, ora la chiesa è parrocchia, l’antico monastero utilizzato dalla comunità locale e sede del Museo civico della antiche vie. Nei primi decenni del XIII secolo anche gli Albi si insediarono a Urbana, dando vita a un cenobio intitolato a Santa Giuliana; nel 1398 non vi era più alcun consacrato e fu assegnato in commenda; i beni passarono al seminario di Venezia, finendo poi a privati (rimane soltanto la chiesetta, adibita a «usi profani»).
Toni Grossi
Giornalista