Il traguardo delle parole. Olimpiadi: l’antico motto e i nuovi linguaggi
Lo aveva ideato il domenicano francese Henry Didon e il barone Pierre de Coubertin lo accolse con favore ponendolo a riferimento ideale della grande avventura sportiva
Gli occhi puntati sulle Olimpiadi e poco dopo sulle Paralimpiadi augurandosi che alcune insensatezze della cerimonia di apertura non si ripetano. Ritorna con il suo fascino il motto Citius, Altius, Fortius, “Più veloce, più in alto, più forte”. Lo aveva ideato il domenicano francese Henry Didon e il barone Pierre de Coubertin lo accolse con favore ponendolo a riferimento ideale della grande avventura sportiva.
É un inno alla forza, all’abilità, alla tenacia nel competere forse senza ricordare che cum-petere significa “andare nella stessa direzione” senza prendersi a gomitate.
Purtroppo, il motto di Didon è stato imprigionato in un una versione aggressiva oggi utilizzata nel mercato, nello scontro politico e perfino nel linguaggio delle istituzioni.
Nel 2021 il Comitato olimpico internazionale si accorse che qualcosa mancava e aggiunse Communiter al trinomio per richiamare il valore della solidarietà nello sport.
“Più veloce, più in alto, più forte” intendeva e intende richiamare il fondamento delle prestazioni fisiche cioè l’allenamento severo anche sul piano umano, psicologico, morale. Un allenamento senza esclusioni: la squadra olimpica dei rifugiati e le Paralimpiadi sono a loro modo un buon segnale.
Tra gli anni ’80 e ‘90 ci fu chi affiancò al motto olimpico la triade Lentius più lentamente, Profundius più in profondità, Soavius più dolcemente. La pensò e la diffuse Alexander Langer (1946 – 1995) un giovane intellettuale, altoatesino, europeo, ribelle al conformismo e alla mediocrità.
Un sognatore direbbero i pragmatisti. Alexander Langer lottò, come altri, per realizzare un sogno di pace, di giustizia, di rispetto della casa comune. In parte ci riuscì, la sua traccia è ancor oggi importante. Morì suicida a Firenze e questo suo gesto estremo è nel mistero della vita di fronte al quale ogni giudizio umano si ferma.
Mettere accanto al motto olimpico la triade di Langer significa creare un’occasione perché si interroghino, si misurino, si completino. Ci sono parole che hanno radici profonde che si incrociano e nessuna può essere recisa senza ferire l’altra.
C’è allora una domanda impegnativa e nello stesso tempo affascinante.
Cosa significa proporre la via della lentezza, della profondità, della dolcezza a chi oggi è costretto a correre sempre più velocemente per rimanere sulla piazza, a superare asticelle poste da altri sempre più in alto per non fallire, a subire la forza bruta o sottile del tiranno per sopravvivere?
Domanda difficile, si rischia una risposta perdente. Potrà venire un segnale dalle Olimpiadi e dalle Paralimpiadi, potrà venire dallo spettacolo dello sport, fatto di successi e di insuccessi?
Un segnale verrà se il trinomio Citius, Altius, Fortius di Didon si declinerà con il trinomio Lentius, Profundius, Soavius di Langer. La gara delle parole è aperta, la competizione cioè l’andare nella stessa direzione è iniziata, il traguardo è considerare l’altro un fratello, il traguardo è cancellare la definizione “nemico”, il traguardo è la pace.