Il limbo dei rifugiati siriani in Libano e Giordania. Ma ora emigrano anche i libanesi
Da Paese di accoglienza il Libano sta diventando Paese d’emigrazione a causa di una pesantissima crisi economica. E per i rifugiati siriani è il disastro totale: mal sopportati, vorrebbero rientrare in Siria ma non possono perché hanno timore di essere perseguitati.
I rifugiati siriani non possono rientrare nella loro terra perché hanno paura di essere perseguitati. E sono mal sopportati nei Paesi che li ospitano, a causa di crisi economiche e politiche che stanno destabilizzando tutta l’area. E’ sempre più dura la vita dei 6,6 milioni siriani che hanno trovato rifugio fuori dalla Siria, la maggior parte in Libano, Giordania e Turchia. Ma anche i libanesi non se la passano bene. “Migliaia di libanesi stanno partendo verso Cipro con documenti falsi, affidandosi ai trafficanti – spiega al Sir Danilo Feliciangeli, coordinatore per i progetti della crisi siriana per Caritas italiana -. Da Cipro ripartono via aereo verso la Grecia o il Nord Europa. Se ne parla solo con trafiletti, quando ci sono naufragi”. Si apre così una nuova fase per il Libano, molto grave e significativa: “Non succedeva dalla guerra civile.
Da Paese di accoglienza il Libano sta diventando Paese d’emigrazione. E per i rifugiati siriani è il disastro totale.
Contro di loro “si è creata una campagna di odio e notizie false, sono diventati il capro espiatorio di tutti i mali”. Le tensioni maggiori sono al nord, nella zona di Tripoli. Nell’ultimo anno ci sono stati attacchi, episodi di violenza e incendi anche nei campi.
Papa Francesco, durante la benedizione pasquale Urbi et orbi ha ringraziato “i Paesi che accolgono con generosità i sofferenti che cercano rifugio, specialmente il Libano e la Giordania, che ospitano moltissimi profughi fuggiti dal conflitto siriano”. E ha dedicato un pensiero particolare al “popolo libanese, che sta attraversando un periodo di difficoltà e incertezze”. Il Papa guarda al Libano come futura meta di viaggio apostolico (annunciata durante il volo di ritorno dall’Iraq), e la comunità cristiana libanese, guidata dal cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, lo attende con fiducia, sperando che accada entro l’anno.
“La situazione è devastante, manca il cibo, l’inflazione è a livelli impressionanti, ci sono proteste contro la classe politica. Le banche sono al collasso e i problemi concreti ostacolano gli aiuti”.
Secondo il presidente di Caritas Libano padre Michel Abboud c’è addirittura “il rischio di una nuova guerra civile”: Hezbollah con i cristiani e i sunniti dall’altra. Cominciano infatti gli scontri tra fazioni, “c’è il pericolo che si torni alle armi”. La crisi politica in atto – da settembre non c’è un governo – ha provocato infatti uno stallo generale. “Un problema grande è l’approvvigionamento dei beni – spiega -. Caritas Libano aveva iniziato progetti di imprenditoria sociale, di sviluppo agricolo, la mensa per i poveri era stata trasformata in ristorante sociale. Poi con il Covid e la crisi economica c’è stato uno stop pesantissimo”. Caritas Libano ha dovuto addirittura aprire un centro sanitario per il Covid a Beirut perché gli ospedali sono al collasso: “Il Paese è sovraffollato e il sistema sanitario non regge”. La visita del Papa, secondo Feliciangeli, “potrebbe scardinare l’impasse attuale e avere una importanza politica”.
In Libano almeno 1 milione e mezzo di rifugiati. In Libano ufficialmente vivono ufficialmente 900.000 rifugiati siriani ma sono almeno 1.500.000 (compresi quelli non registrati). Questi ultimi non ricevono aiuti, che comunque sono stati tutti soggetti a pesanti tagli da parte dell’amministrazione Trump. Molti siriani sopravvivono come possono nelle baraccopoli verso nord, a Tripoli o nella Valle della Beqa’. I bambini non vanno a scuola. Già prima del Covid facevano tre turni (un turno con i bambini libanesi e due turni con i siriani) e tantissimi non erano scolarizzati.
I siriani non possono rientrare. Negli ultimi tempi la politica del governo libanese è di non incentivare le presenze e favorire i rientri. Secondo alcuni sondaggi tre quarti dei siriani in Libano e Giordania vorrebbero rientrare ma solo il 5% intende farlo entro l’anno. “Per ora i siriani non rientrano – precisa Feliciangeli -. Chi è uscito era oppositore per cui hanno paura di ritorsioni da parte del governo siriano, di essere incarcerati. Chi è tornato ha subito persecuzioni personali.
Finché non ci saranno condizioni di sicurezza e garanzie per l’incolumità personale sarà difficile”.
In più il governo ha approvato leggi che scoraggiano il rientro: “iniziano a sequestrare le proprietà, non fanno nulla per ritrovare i legittimi proprietari delle case bombardate o abbandonate”.
In Siria 13,4 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari. Nell’ultima Conferenza a Ginevra sulla Siria si è discusso dei rientri, a dieci anni dall’inizio del conflitto. L’anno scorso ci sono stati 200.000 rientri ma 1 milione di siriani continuano ad emigrare a causa del collasso dell’economia. Oltre all’insicurezza non c’è lavoro e scarseggiano cibo e beni di prima necessità a causa delle sanzioni internazionali. In Siria 13,4 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, l’anno scorso erano 11 milioni. I dati umanitari sono gli stessi del 2016, nel pieno del conflitto.
In Giordania la situazione economica è migliore ma la crisi siriana ha travolto comunque tutta la regione. La Giordania attualmente accoglie circa 750.000 rifugiati registrati, di cui oltre 658.000 fuggiti dalla Siria. Nel campo di Za’atari al confine siriano vivono da anni circa 60.000 persone, quasi tutti anziani, donne e bambini. Oramai è diventata un piccola cittadina. “I siriani non possono tornare in patria e sono mal sopportati in Libano, Giordania e Turchia. E più il tempo passa, peggio è”, conclude Feliciangeli.