Il libro del vescovo emerito Mattiazzo. Al sacrificio di Cristo cosa manca? Il mio...
Libro del vescovo emerito Mattiazzo
Forse perché letto negli ultimi giorni di vita di mio padre, il libro del vescovo emerito Antonio Mattiazzo – In principio era l’amore. Il sacrificio nel mistero cristiano (TS Edizioni, pp. 272, 23 euro; con presentazione di padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa) – è stato per me balsamico e nutriente. Parlare del sacrifico di Cristo come dono d’amore invita a scorgere in esso il senso di ogni vita e di ogni morte. Pur essendo davvero dotto, ricco di citazioni e di fonti, è totalmente accessibile, comprensibile. Sono rimasta colpita dall’ampiezza della trattazione e dalla interdisciplinarietà della prospettiva che va dalla Sacra Scrittura alla Kabbalah; dai Padri della Chiesa ai teologi contemporanei, passando per i documenti della Chiesa fino a citare testi di psicanalisi. Un linguaggio alto nei contenuti, ma comprensibile nella forma. Solo i grandi fanno sembrare semplice e facile ciò che è difficile e complesso. È un testo che scorre come l’acqua. Il titolo già svela il senso del sacrificio nel mistero cristiano: In principio era l’amore che, richiamando l’incipit del prologo di Giovanni, «In principio era il Verbo» (Gv 1,1), connota sotto l’egida dell’amore trinitario tutta la rivelazione cristiana. Il libro poi si dipana presentando lo spirito dei sacrifici nell’Antico Testamento, annuncio profetico dell’unico, irrevocabile sacrificio di Cristo, analizzato nei capitoli successivi in tutte le sue sfumature di offerta, redenzione, espiazione, riparazione, manifestazione del mistero della Trinità, fonte di salvezza universale. Un capitolo prezioso è dedicato alla spiritualità che sgorga dal sacrificio di Cristo: ogni battezzato è chiamato a unirsi a esso con la propria vita; ma il sacerdote, che pronuncia le parole della consacrazione – «Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue…» – è prima di tutto configurato direttamente e realmente a Cristo e ne dovrebbe condividere intimamente i sentimenti. Trapela in queste pagine la premura di un vescovo per i presbiteri. Mentre la mentalità odierna tende ad allontanarci sempre più dall’idea di sacrificio, come dalla pratica penitenziale a esso correlata, quando la vita ci presenta la sua pagina più violenta e dura della malattia e della morte, abbiamo bisogno di ritornare al fondamento della nostra fede: Gesù crocifisso. Guido il certosino, monaco del 12° secolo, diceva: «Sine aspectu et decore crucique affixa adoranda est veritas» – senza bellezza né splendore, ma appesa alla Croce va adorata la verità. Cristo, con il suo sacrificio, è il fondamento del nostro sacrificio; è in lui il senso e il fine escatologico del sacrificio cristiano. L’ignoranza e la rimozione di questa verità ha reso incomprensibile il sacrificio. «La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma sappiano offrire anche se stessi... perché finalmente Dio sia tutto in tutti» (Ordinamento generale del Messale Romano n. 79). «Do compimento a ciò che nella mia carne manca ai patimenti di Cristo» (Col 1,24). Cosa manca al sacrificio di Cristo? Nulla, solo il mio, unito al suo: così la sofferenza non spegne la gioia, perché questa è nel fondo dell’anima unita al sacrificio di Gesù Cristo e solo in questo modo la Vita squarcia la morte.