Il giovane migrante che ha salvato una bimba di 4 mesi
J., partito dal Togo con la speranza di trovare una vita migliore in Europa, era uno dei pochi che sapeva nuotare.
Lunedì 27 giugno. Il sole splende sulle acque del Mediterraneo. Attorno a mezzogiorno alla nave umanitaria Geo Barents di Medici senza frontiere arriva da Alarm Phone – la piattaforma di chiamate d’emergenza per i migranti in mare – una richiesta di aiuto. A tre ore di distanza c’è una barca in difficoltà, partita la notte precedente dalla città libica di Zawiya. A bordo un numero imprecisato di migranti.
Il capitano della Geo Barents e gli operatori di Msf capiscono immediatamente che non c’è tempo da perdere. In due ore arrivano sul luogo in cui era stato segnalato il naufragio, ma del barcone non c’era ormai più traccia. Dal ponte con un binocolo i soccorritori di Msf intercettano una macchia in lontananza. Una manciata di minuti e vengono calate in acqua le scialuppe di salvataggio. Su una di queste, insieme agli operatori di Msf c’è anche il fotoreporter Michael Bunel, impegnato a documentare l’attività della Geo Barents nell’ambito del progetto “Exil: The Helpers”, finanziato dalla Biblioteca nazionale francese.
Sono circa le 15. Sono trascorse tre ore da quando la chiamata d’emergenza è arrivata alla Geo Barents e ora inizia la fase più complessa del soccorso. Il gommone su cui si trovavano i migranti era collassato al centro. La barca aveva iniziato a imbarcare acqua, finché alla fine non è colata a picco. Molti migranti, sospinti dalla corrente, si erano allontanati dal luogo del naufragio. Per salvare più persone possibili, gli operatori di Msf lanciano in acqua giubbotti salvagenti e una grande boa.
Michael Bunel documenta tutto con la sua macchina fotografica. Scatti in bianco e nero che pubblicherà, qualche ora più tardi, sul suo profilo Fb, dove tiene un diario quotidiano.
In lontananza i volontari di Msf scorgono un pezzo di legno, al quale sono aggrappati due uomini e una donna. “C’è un bambino! C’è un bambino!”, gridano i migranti.
Bunel documenta tutto con la sua videocamera.
Man mano che la scialuppa della Geo Barents si avvicina, si scorge, in mezzo alle acque blu un ragazzo grande e grosso con una maglietta rossa. Con un gesto veloce solleva dalla tavola di legno un fagottino avvolto in una magliettina gialla. Il corpicino si adagia esanime sulla spalla destra del ragazzo, come fa l’asciugamano che ci si butta in spalla prima di andare a fare la doccia. La scialuppa si avvicina il più possibile al gruppo. Fulvia Conte, soccorritrice di Msf, si sporge sul bordo di gomma arancione allungando le braccia mentre i suoi compagni la reggono per la tuta. È un attimo. Afferra dalle acque quel fagottino e lo passa a un medico. Non respira. Lui cerca di rianimarla con un massaggio al cuore e picchiettandola sulla parte superiore della schiena. Cinque o sei secondi che sembrano durare un’eternità. Poi, finalmente, la piccola inizia a piangere. Un pianto che ha il suono della vita. Proprio come quello che aveva fatto, quattro mesi prima, quando era venuta al mondo.
Dopo aver rassicurato i tre migranti aggrappati alla tavola che sarebbero tornati a prenderli, i soccorritori di Msf portano velocemente la bimba sulla nave, perché venga visitata da un medico di bordo. Poco dopo con un volo militare viene trasferita, insieme alla madre, all’ospedale di Malta.
Si scoprirà più tardi che a salvare la piccola dalle onde è stato un ragazzo di 17 anni. Il giovane eroe, partito dal Togo con la speranza di trovare una vita migliore in Europa, era uno dei pochi che sapeva nuotare. Di lui si conosce solo l’iniziale del nome, J. “Viaggiavo sul gommone insieme a 6 amici – racconterà poi a Msf – sono tutti morti”. Le onde alte, il vento forte nel cuore della notte, il panico tra i migranti mentre il gommone inizia a imbarcare acqua. Il ragazzino riesce a raggiungere a nuoto sei persone e le mette in salvo, portandole fino ai pezzi del gommone che galleggiavano in mezzo al mare. Tra queste c’è anche la mamma della piccola, che il giovane salva per prima. Solo dopo si rende conto di quel fagottino giallo tra le onde. Lo afferra e lo affida alle braccia del ragazzo con la maglietta rossa.
Il racconto per immagini di Michael Bunel di quello che, a detta degli operatori di Msf, è stato uno dei più difficili salvataggi a cui abbiano mai assistito, viene pubblicato agli inizi di luglio dall’agenzia stampa Brut sulla sua pagina Fb, ottenendo 4,5 milioni di visualizzazioni nella versione francese e oltre un milione di visualizzazioni in quella spagnola. Il fermo immagine del giovane con la maglietta rossa con la bimba sulla spalla fa il giro del mondo e finisce in prima pagina sul quotidiano spagnolo “La vanguardia”.
J., il giovane eroe, è scomparso nell’anonimato di un centro di accoglienza di Taranto. Non rischia più la vita, ma il suo destino è ancora incerto, tra procedure di riconoscimento e assistenza per minori non accompagnati.
Stando al racconto dei sopravvissuti, sbarcati qualche giorno più tardi a Taranto, in quel naufragio hanno perso la vita almeno 22 persone, tra le quali tre bambini e una donna incinta, che i soccorritori di Msf hanno invano cercato di rianimare per 40 minuti.
Ad oggi, – sottolinea Msf – “il Mediterraneo rimane il confine più letale del mondo, con 24.184 migranti morti o dispersi registrati dal 2014 e 721 solamente nel 2022”.