I nodi critici delle “navi quarantena”: dai problemi sanitari alla scarsa informazione
Un’indagine di Asgi nell’ambito del progetto In Limine fa il punto sulla misura. Tra le difficoltà anche quella di accedere alla procedura di asilo. “Utilizzo discriminatorio”
Ostacoli all’accesso a un’informazione piena sulla propria condizione giuridica e alle procedure di asilo, nonché problemi di carattere sanitario. Sono questi alcuni dei nodi critici del “modello emergenziale” di gestione dei flussi in ingresso nato a seguito della pandemia globale: l’utilizzo delle “navi quarantena”. A fare il punto è un’indagine realizzata da Asgi nell’ambito del progetto In Limine, fra la seconda metà di maggio e gli inizi del mese di novembre 2020. In tutto sono state condotte interviste a 82 cittadini stranieri che, dopo il loro arrivo in Italia, hanno trascorso la quarantena a bordo di una delle navi messe a disposizione dal Governo. Attraverso le interviste, sono state raccolte informazioni in relazioni a tutte le navi-quarantena operative nel periodo della ricerca. Le interviste vertevano in primo luogo sulle condizioni materiali a bordo, l’accesso alle cure, la disponibilità dei dispositivi anti-contagio, la disposizione e divisione degli alloggi. In secondo luogo, si sono poste domande relativamente alle procedure di controllo alle frontiere e alle possibili violazioni dei diritti delle persone sottoposte alla sorveglianza sanitaria. “A partire dall’osservazione e dall’analisi di tali questioni sono emersi alcuni profili problematici che caratterizzano l’utilizzo delle navi per la quarantena dei migranti entrati in Italia via mare - si legge nel report -. Prima fra tutte, si rileva la natura discriminatoria di questa prassi che incide direttamente sulla libertà personale di chi vi è sottoposto”.
Lungi dall’essere una misura utilizzata “in via eccezionale”, l’isolamento sanitario presso le navi quarantena ha riguardato circa 10.000 persone alla data del 9 novembre 2020. La misura, secondo i ricercatori, ha inoltre una forte connotazione simbolica. Infine, anche dal punto di vista sanitario rappresenta una misura estremamente problematica.
Il 7 aprile 2020 il ministero dei Trasporti, di concerto con quello dell’Interno, della Salute e degli Esteri ha emesso un decreto con cui disponeva che, per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, i porti italiani non avrebbero potuto considerarsi “sicuri” per lo sbarco di persone soccorse da navi battenti bandiera straniera fuori dalla zona di ricerca e soccorso italiana. Questo provvedimento era basato su due ordini di ragioni: da un lato l’asserita impossibilità di assicurare la necessaria assistenza sanitaria e i servizi fondamentali in Italia a causa della pandemia e, prima ancora, il fatto che l’arrivo dei naufraghi avrebbe potuto compromettere la funzionalità stessa delle strutture nazionali sanitarie, logistiche e di sicurezza. Nell’ottica del decreto le “attività assistenziali” per le persone soccorse da navi straniere, fuori dalla zona di Search and Rescue (SAR) italiana, avrebbero dovuto essere assicurate dal paese dello stato di bandiera.
Il successivo 12 aprile è stato pubblicato un ulteriore decreto del Capo della Protezione Civile con cui sono state definite le procedure per lo sbarco delle persone soccorse in mare e i soggetti competenti al loro svolgimento durante l’emergenza sanitaria. Il decreto ha dato avvio a una procedura eccezionale che nel corso dei mesi è stata utilizzata in modo flessibile ed espansivo e che rischia, in prospettiva, di venire normalizzata a discapito della tutela dei diritti dei cittadini stranieri in arrivo o addirittura già presenti in Italia.
Il decreto individua nel Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno il soggetto attuatore che si avvale, per lo svolgimento delle procedure, della Croce Rossa Italiana (CRI). Più nello specifico si afferma, in modo piuttosto contraddittorio, che il soggetto attuatore può utilizzare delle navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria da disporsi nei confronti delle persone soccorse in mare per cui non è possibile indicare il “Place of safety” (luogo sicuro per lo sbarco). Si tratterebbe in sostanza delle persone soccorse da navi straniere fuori dalla zona SAR italiana. Il decreto prosegue disponendo che il soggetto attuatore individua delle strutture “a terra” per il periodo di sorveglianza sanitaria di coloro che sono sbarcati autonomamente in Italia, salvo poi lasciare aperta la possibilità, anche in questo caso, di fare ricorso alle navi quando non è possibile individuare strutture di ricezione sulla terraferma.
A partire da metà aprile sono state individuate, con procedura di aggiudicazione diretta, diverse navi appartenenti a compagnie private per lo svolgimento del periodo di “quarantena” delle persone sbarcate autonomamente e delle persone soccorse da navi battenti bandiera straniera. I primi che vi hanno soggiornato sono stati i cittadini stranieri soccorsi dalle navi Alan Kurdi e Aita Mari nel periodo di Pasqua. Inizialmente sono stati usati i traghetti Rubattino e Moby Zaza di proprietà della Compagnia Italiana Navigazione (già Tirrenia). Secondo le informazioni raccolte da ASGI nell’ambito del progetto In Limine tramite richieste di accesso civico, diverse centinaia di persone soccorse in mare sono state condotte su queste navi. Nei mesi successivi il Ministero dell’Interno si è avvalso anche di altre navi, tra cui la “GNV Azzurra”, la “GNV Allegra”, la “GNV Splendid”, la “GNV Rhapsody”, la “GNV Excellent” e la “GNV Suprema”, di proprietà della compagnia italiana Grandi Navi Veloci e la “Aurelia” e la “Adriatico” della SNAV (Società di Navigazione Alta Velocità). Secondo quanto previsto dall’ultimo avviso per l’aggiornamento dell’elenco delle unità navali, le stesse saranno in funzione fino alla cessazione dello stato di emergenza, ad oggi prorogato al 30 aprile 2021, e potranno essere utilizzate anche per persone giunte sul territorio attraverso le frontiere terrestri.