Giornata del teatro: “In carcere laboratori ancora fermi: servono prospettive e nuovo slancio”
A parlare è Michele Traitsis, regista della Compagnia Balamòs Teatro attiva negli istituti penitenziari veneziani: “Per noi, per le persone detenute, per tutto il carcere la continuità delle attività è fondamentale. Oggi mi chiedo: come saremo quando potremo ripartire?”
“È molto più faticoso, difficile e complesso di quanto non possa sembrare. Lo dico dal punto di vista dell’operatore, ma vale anche per le persone detenute”: a parlare è Michele Traitsis, regista della Compagnia Balamòs Teatro, attiva negli istituti penitenziari femminile e maschile di Venezia. Il progetto Passi Sospesi è cominciato nel 2006 alla Casa circondariale di Santa Maria Maggiore di Venezia, la Casa circondariale Sat di Giudecca (attualmente chiusa) e dal 2010 alla Casa di reclusione femminile di Giudecca: “Non ci siamo mai fermati, da allora. Solo qualche settimana ad agosto. Per il resto, siamo sempre presenti: la continuità è fondamentale. Per noi, per i detenuti, per tutto il carcere”. Un’attività continuativa fatta di attività collaterali, incontri con le scuole e con la società esterna che Traitsis racconterà al seminario di formazione internazionale organizzato per oggi, Giornata mondiale del teatro, dal Coordinamento nazionale teatro in carcere (di cui Balamos fa parte sin dall’inizio, ndr) e dall’International Network Theatre in Prison. Al centro del seminario, due significativa esperienze italiane di teatro in carcere con adulti e minori: oltre a Venezia, Palermo.
I laboratori teatrali nelle carceri veneziane, dopo il primo stop obbligato dal lockdown della primavera 2020, a giugno dello scorso anno erano ripartiti, per poi fermarsi nuovamente a novembre. “Avremmo dovuto ripartire all’inizio del mese – spiega Traitsis –, ma di fatto siamo ancora fermi. Speriamo di ripartire presto, questa situazione, pesante per tutti, è particolarmente difficile per le persone detenute. Si avverte maggiormente la solitudine e l’inerzia passiva: nelle carceri non entra più nessuno, a parte gli agenti e, talvolta, i volontari. Per chi lavora e collabora con gli istituti penitenziari, è chiaro che il carcere funzioni solo con tutte le sue attività parallele: l’alternativa è che si fermi tutto, con conseguenze drammatiche”.
Con le attività in presenza sospese, i contatti si sono spostati su Teams, ma anche in questo caso le difficoltà non mancano: “Le linee sono poche, i detenuti tanti e la priorità, ovviamente, viene data alle comunicazione con i familiari. Gestire anche i contatti con noi non è semplice: solitamente un paio di agenti penitenziari si occupano solo di questo, adesso non è più possibile. Gli organici sono ridotti, anche alla luce delle positività e delle quarantene. Stiamo cercando, per quanto possibile, di manifestare almeno la nostra volontà di esserci. Sicuramente, rispetto al primo lockdown, c’è più stanchezza, le energie sono poche. Per come la vedono i detenuti, mancano prospettive chiare. La domanda che mi faccio adesso è: quando finirà tutto questo come saremo? Da dove riprenderemo? Personalmente, non mi è mai capitato di rimanere inattivo per così tanto tempo, e questo non aiuta né la programmazione né lo stato d’animo. Sicuramente ci saranno strascichi. Quando ci siamo fermati a novembre, mancavano 10 giorni allo spettacolo del femminile, un lavoro legato alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Di sicuro, quando potremo ricominciare non lo faremo dal punto in cui ci eravamo interrotti. L’esperienza che abbiamo vissuto deve essere elaborata”. Al seminario di oggi, Traitsis parlerà di ripartenza e rilancio: “Questo prolungato isolamento crea disagi e tensioni: abbiamo comunicato sia al femminile sia al maschile che, oggi, al pubblico e alle istituzioni parleremo di prospettive, di una situazione in evoluzione. Obiettivo, dare una botta di positività”.
E come si sono fermate le attività negli istituti penitenziari, sono bloccati anche i laboratori dedicati alle persone con malattie neurodegenerative, percorsi che coinvolgevamo persone malate, caregiver, operatori. “Per tutti quell’appuntamento settimanale era una grande valvola di sfogo. Si tratta di persone fragili, è stata la prima attività a fermarsi e sarà l’ultima a ripartire”. Tra le attività di Balamòs, anche quelle rivolte alle classi prime delle scuole secondarie di primo grado: “Quest’anno siamo partiti regolarmente, con il triplo delle iscrizioni. Probabilmente anche perché altri corsi non sono riusciti a partire, ma per noi è stato un grande motivo di orgoglio. Facevamo tre turni, per garantire il distanziamento. Se ho riscontrato differenze? Sì. I ragazzi mi sono sembrati più concentrati, più aperti, più desiderosi di esprimersi. Un dato, questo, che mi fa riflettere: questo desiderio di condivisione e relazione si sarà acceso anche nelle persone detenute? Si saranno ulteriormente chiusi è starà germogliando la voglia di reagire? Non vedo l’ora di scoprirlo”.
Ambra Notari