Figli dello stesso mare. Il Medio Oriente, Palermo, l’Athos: tre facce di un Mediterraneo origine del nostro oggi
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Venti di guerra che soffiano apparentemente “solo” da oltre cento giorni, ma che vengono da molto più lontano nel tempo, e negli spazi. Quelli mediorientali, ad esempio, da dove proviene se non tutto almeno una parte della tempesta che rischia di divenire planetaria. Un esperto, che come inviato Rai è vissuto in quella zona, continua a narrarci, nei suoi articoli e nei suoi libri la tragedia della guerra e dell’odio nei luoghi delle origini, non solo religiose, ma anche delle nostre civiltà. In “Figli dello stesso mare”, Riccardo Cristiano non si limita a ripercorrere la storia recente che ha portato all’instabilità, alle migrazioni anche per ragioni religiose oltre che etniche ed economiche, ma anche a scelte catastrofiche di un occidente che anni fa scelse alleati contro l’estremismo religioso i quali avrebbero poi presentato salati conti prima di essere inghiottiti a loro volta dai fallimenti di quelle instabili speranze. Come recita il sottotitolo, “Francesco e la nuova alleanza per il Mediterraneo”, Cristiano (fondatore tra l’altro di “Giornalisti amici di padre Dall’Oglio”, il gesuita fautore del dialogo interreligioso con il mondo islamico rapito in Siria nel 2013) ha una laica speranza: quella che un capo religioso possa portare ad una nuova Tenda delle alleanze, sfuggendo alle tentazioni di rispondere alla violenza con la violenza, alla rabbia con i proclami bellicosi. Se il mondo cristiano è diviso, quello musulmano non è da meno, e spesso queste divisioni tra religioni e all’interno delle religioni stesse sono, se non causate, favorite da motivi economici e nazionalistici. Cristiano stende elenchi dettagliati di uso strategico e tattico delle differenze – e delle diffidenze – religiose da parte di regimi più o meno costituzionali, come nel caso dei governi, come quello di Morsi, appoggiato dai Fratelli Musulmani. L’azione di Francesco, riconosce Cristiano, è stata soprattutto pragmatica e realista, fondata su viaggi e incontri con altri capi religiosi destinati a rimanere nella storia. E a diventare testate d’angolo dell’unico futuro percorribile nella terra dove tutto ha avuto inizio.
Riccardo Cristiano, “Figli dello stesso mare. Francesco e la nuova alleanza per il Mediterraneo”, Castelvecchi, 230 pagine, 17,50 euro.
Quello stesso mare agitato dagli uragani di guerra bagna la Palermo narrata in “Il Vangelo e la strada” da Corrado Lorefice, arcivescovo della città, Anna Staropoli, sociologa nell’istituto di formazione politica “Pedro Arrupe” e Vito Impellizzeri, presbitero della Diocesi e direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose della facoltà San Giovanni Evangelista, sempre a Palermo. Ed è una narrazione che attraversa i mercati, la periferia, i luoghi di confine tra città e campagna, la povertà, la necessità elementare di guadagnare il pane per sé e la propria famiglia. A qualsiasi etnia, popolo, patria si appartenga. Anche perché, come spiega l’arcivescovo, non c’è solo la pedagogia dell’accoglienza vera, della cristianità – e non solo – impegnata nel corpo sofferente della città, ma anche una “pedagogia tipicamente mafiosa” che potrebbe essere affrontata con una economia corretta e con una cultura dell’accoglienza. Il realismo con il quale Anna Staropoli descrive il celebre mercato della Vucciria immortalato da Renato Guttuso non esclude una partecipazione anche emotiva: i litigi a causa di un posto, per il quale si è dormito la notte lì, la “merce esposta per terra che ingombra i marciapiedi” causando ulteriori problemi per i residenti ma che nel contempo rappresentano l’unico modo di sbarcare il lunario, sono parte umana e non solo sociologica di una società in cui l’altro mercato, quello delle grandi finanziarie, detta le regole. La vastità anche culturale e sociale del Mediterraneo torna al centro dell’attenzione con il saggio di Impellizzeri che approfondisce il grande contributo alla ricerca non solo della pace ma anche dell’equità e della salvezza ecologica avviato da papa Francesco, e che, come nota bene l’autore, viene da lontano, ad esempio dal documento “Dialogo e annuncio” del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso che risale al 1991. È la grande ricerca di fratellanza tra le religioni che attraversa questi tempi di guerra e vi si oppone non con la forza delle armi, ma con il riconoscimento dell’altro, sia al di là del grande mare nostro, sia nei nostri mercati a vendere qualcosa che lo aiuti a sopravvivere. Le figure evangeliche, qui ricordate, dovrebbero esserci d’aiuto a incarnare il Samaritano e non a passare oltre con finta fretta.
Corrado Lorefice, Anna Staropoli, Vito Impellizzeri, “Il Vangelo e la strada”, San Paolo, 314 pagine, 20 euro.
Ed è ancora lo “stesso mare” quel Mediterraneo originario di cui parla anche Armando Santarelli in “Il faro monastico. Il Monte Athos attraverso gli occhi dei visitatori occidentali”. Una parte del mare, quella che in un precedente libro lo stesso scrittore chiamò giustamente “la Montagna di Dio” (Rubbettino, 2009), perché la sacralità dell’Athos avvicina le religioni, l’occidente e l’oriente, le culture in una sorta di sospensione dello spazio-tempo. È così che uno scrittore assai attento alle problematiche del nostro oggi non solo fa del Monte la sua meta di viaggiatore, ma lo attraversa umilmente come portatore di parole altrui, quelle dei viaggiatori che si sono recati in questa manniana Montagna Sacra. Perché c’è un Athos mistico, quello ad esempio narrato dal russo Boris K. Zajcev, scrittore e viaggiatore perenne (ha scritto anche un “Italia” nel 1923) che vede nei silenzi e nella contemplazione sull’Athos una “igiene psichica sconosciuta al mondo secolare”, come chiosa giustamente Santarelli, ma c’è anche una Montagna deformata da uno sguardo raziocinante a tutti i costi, come quello di Michael Choukas, che pure era nato a Samos: nel suo “Black angels of Athos”, uscito nel 1935, vede solo superstizione, cedimenti all’irrazionale, primitivismo. Ma il libro fa giustizia anche dei pregiudizi sul razionalismo, perché accade che un viaggiatore dal nome assai evocativo, Byron (in questo caso si tratta dello storico dell’arte e viaggiatore Robert) prenda di petto la questione e di fronte al rovesciamento della velocità e della ragione a tutti i costi sia costretto ad ammettere che se si vuole capire l’Athos occorre mettere da parte giudizi e soprattutto pregiudizi, il vero, letale veleno che uccide le possibilità di capire e incontrare l’altro. Santarelli, altra incarnazione dello scrittore-viaggiatore d’occidente, ci offre la possibilità di contemplare senza giudizi preconcetti un mondo vicino nello spazio ma anche lontano, perché le sue radici vengono da quella antica crisi della compagine imperiale e dei modelli sociali di allora in cui tentavano di imporsi raffinatezza e razionalità, e che vide dotti, sapienti, analfabeti e poveri abbandonare quel mondo e andarsene, direbbero i due Thomas, Gray e Hardy, – che al primo si rifece per il titolo del suo romanzo -, via dalla pazza folla.
Armando Santarelli, “Il faro monastico. Il Monte Athos attraverso gli occhi dei visitatori occidentali”, Edizioni Fili d’Aquilone, 233 pagine, 15 euro. Con una prefazione di Giuseppe Sergio Balsamà.