Emirati Arabi, il prezzo del lockdown lo pagano i lavoratori immigrati

La loro situazione era già precaria prima del Coronavirus. La denuncia di Amnesty International: "I paesi del Golfo devono iniziare a trattare equamente i lavoratori migranti ed eliminare tutti i sistemi che li discriminano e violano i loro diritti umani"

Emirati Arabi, il prezzo del lockdown lo pagano i lavoratori immigrati

A pagare le conseguenze del lockdown negli Emirati Arabi Uniti sono soprattutto i lavoratori migranti non specializzati. Anche perché la loro situazione era già precaria prima delle misure di contenimento imposte nel Paese a marzo e diventate meno rigide solo nell’ultimo periodo. Queste persone, infatti, erano già sottopagate e in molti casi, con paghe ridotte o dopo aver perso il lavoro,si sono ritrovate a dormire per strada. Inoltre, a causa del prolungato stop ai voli, non hanno potuto neppure rientrare nei propri Paesi. Non si sa di preciso quanti siano, ma un dato fa intuire le dimensioni del problema: 9 persone su 10 negli Emirati, dove vivono 9,7 milioni di persone, è di origine straniera, soprattutto indiani e pakistani.
La denuncia di Amnesty. L’organizzazione internazionale che difende i diritti umani aveva già scritto una lettera ad aprile, firmata da varie ong e sindacati, indirizzata ad Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrain, Kuwait e Oman, dove vivono milioni di migranti occupati soprattutto nelle costruzioni, nell’ospitalità e nella cura. “I paesi del Golfo devono iniziare a trattare equamente i lavoratori migranti ed eliminare tutti i sistemi che li discriminano e violano i loro diritti umani”, silegge nella lettera. Una richiesta in sette punti per chiedere dignità per queste persone.

Il caso Secl. L’ong Migrant-Rights parla di un caso che “coinvolge diverse centinaia di dipendenti”, inclusi operai edili e impiegati, della Sobha Engineering and Contracting LLC (Secl), una società degli Emirati Arabi Uniti che segue progetti anche di grosse dimensioni. Stando alle testimonianze raccolte, la società ha cominciato a pagare gli stipendi a singhiozzo a partire da giugno 2018,versando quanto dovuto ogni 4-5 mesi. “Col passare del tempo, la maggior parte di noi sta perdendo la speranza nel sistema legale. Il processo è lungo e bisogna avere tanti soldi per assumere avvocati e combattere fino alla fine, cosa che molti non hanno”, ha detto un dipendente. E con la nuova situazione, dice a Osservatorio Diritti Rima Kalush di Migrant-Rights, “il rischio che casi come questo si moltiplichino è più che reale, anzi già si vedono i primi effetti”. Le cause. Coronavirus a parte, le violazioni dei diritti sono legate al sistema della kafala, che staalla base dei rapporti di lavoro di lavoro nei paesi del Golfo: i lavoratori stranieri devono avere una sponsorizzazione da un abitante o un’azienda locale per avere un visto e una residenza riconosciuti. Un metodo che mette i lavoratori alla mercé dei datori e a rischio sfruttamento.

L'articolo integrale di Laura Filios, Emirati Arabi Uniti: lavoratori migranti intrappolati dal coronavirus, può essere letto su Osservatorio Diritti.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)