Dopo gli arresti per corruzione al Comune di Venezia ci serve una rivoluzione degli onesti
Alla fine lo tsunami si è abbattuto anche sulle nostre coste, quelle della laguna veneta, e in particolare sul Comune di Venezia. Ad aprile i fatti di Bari, dove l’assessore regionale Pisicchio è finito ai domiciliari assieme al fratello per corruzione e turbativa d’asta.
A maggio i clamorosi eventi di Genova, con gli arresti domiciliari per il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti e l’imprenditore Aldo Spinelli, oltre alla custodia cautelare in carcere per l’ex presidente dell’Autorità portuale Paolo Emilio Signorini. Martedì scorso, 16 luglio, le porte del carcere si sono aperte per l’assessore comunale alla Mobilità di Venezia, Renato Boraso, e per l’imprenditore Fabrizio Omerese, mentre altre sette persone sono state messe ai domiciliari. Queste gravi misure che limitano la libertà personale, sono state firmate dal giudice per le indagini preliminari dopo tre anni di attività inquirente condotta dalla Guardia di Finanza, partita in seguito a un esposto giunto alla procura veneziana nel 2021. Sul quadro che emerge dopo anni di indagini il procuratore Bruno Cherchi ha pronunciato parole molto forti. Al cuore della vicenda c’è «l’attività dell’assessore in relazione a strutturazione di gare in cui venivano favoriti alcuni privati rispetto ad altri imprenditori in cambio di denaro». Si tratta di «fatti durati anni, con continuità di attività illecita». I reati contestati all’assessore sono corruzione, autoriciclaggio, fatturazioni per operazioni inesistenti in concorso e la creazione di rapporti con privati nella gestione degli appalti in maniera non corretta. Dalle intercettazioni, ha detto ancora il procuratore, risultava che Boraso stesse distruggendo i documenti, per questo per lui non potevano bastare i domiciliari. Con lui «la gestione della pubblica amministrazione era in gran parte a disposizione nel tempo di alcuni privati». Di fronte a ognuna di queste vicende è necessario sospendere il giudizio e attendere che la Giustizia faccia il suo corso, garantendo a tutte le persone coinvolte un processo equo e in tempi ragionevoli, come previsto dalla Costituzione. Non si può tuttavia non manifestare l’enorme sconforto che questa ridda di inchieste e arresti ci getta addosso: nei trent’anni che sono trascorsi da “Mani pulite” a oggi pare che nulla sia cambiato. E, peggio, lo scandalo generato allora per il coinvolgimento dei massimi vertici dello Stato, non fu di certo più grave di oggi che i protagonisti di queste vicende sono esponenti regionali o comunali (peraltro, sempre martedì scorso, un avviso di garanzia ha raggiunto anche il sindaco di Venezia Brugnaro per alcune operazioni sull’area Pili di cui si era occupata anche Report, la trasmissione di Raitre). Lo sconforto tuttavia non può bastare. Cittadini, elettori, contribuenti, lavoratori: non è possibile accogliere notizie come queste con la rassegnazione che troppo spesso ha contraddistinto la popolazione italiana, specie negli ultimi cinquant’anni, quando innumerevoli fatti gravissimi non hanno trovato verità e giustizia, né nelle dichiarazioni di chi non poteva non sapere né nelle aule di un tribunale (vedi le stragi di Ustica e della stazione di Bologna, ma non solo). Esiste ancora oggi un atteggiamento predatorio rispetto alla cosa pubblica, che amministratori corrotti e privati senza morale mettono in pratica quotidianamente, allo scopo di lucrare denari o altri beni. Il profitto è sacrosanto quando è lecito, altrimenti è un furto all’intera collettività e, nel caso di un appalto, un danno a un imprenditore dello stesso settore, magari onesto. Viene alla mente la storia di Floribert Bwana Chui, raccontata anni fa dal gesuita Francesco Occhetta su La Civiltà cattolica. Nato a Goma, Congo, nel 1981, morì a soli 26 anni per aver bloccato il passaggio dal Rwanda di generi alimentari deteriorati e nocivi per la salute della popolazione. Nella sua Bibbia è stato trovato sottolineato il versetto del Vangelo di Luca in cui Cristo dice ai soldati che lo interrogano: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». La rivoluzione silenziosa degli onesti parte dal non esigere nulla più del dovuto.