Don Bignami (Cei): “La politica deve tornare a guardare in faccia alle persone”
Il direttore dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza episcopale italiana è autore del volume “Dare un’anima alla politica”. “Lo stile del politico credente – afferma al Sir – assume lo sguardo di Dio sulla realtà. Uno sguardo impegnativo, perché Dio vede e ascolta il grido del povero e della creazione”. E sottolinea: “Il tempo che stiamo vivendo ci rivela una priorità fondamentale grazie ai due fari del magistero sociale: la cura del creato proposta dalla Laudato si’ e la pace fraterna offerta dalla Fratelli tutti”
Don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro, appassionato dei temi della politica e della democrazia, studioso della storia del nostro Paese, postulatore della causa di beatificazione di don primo Mazzolari, è autore del volume “Dare un’anima alla politica” (Ed. San Paolo). La prefazione è firmata dal card. Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani. Con don Bignami entriamo nei contenuti del libro, toccando alcuni aspetti della politica oggi, il rapporto tra cristianesimo e bene comune, un affondo sui temi rilevanti e le urgenze che la politica dovrebbe affrontare. Fino a una riflessione sull’impegno dei credenti per la “cosa pubblica”.
Partiamo dal titolo. Espressione non nuova eppure affascinante e – si può ben dire – attualissima. La politica ha smarrito l’anima? O, come lei sostiene, ha bisogno di spiritualità?
La necessità di dare un’anima alla politica è sotto i nostri occhi. Anche l’uomo della strada si accorge della distanza abissale tra la politica e la vita ordinaria, tanto che la percentuale degli elettori ha raggiunto il peggior livello della storia repubblicana. La disaffezione è sintomo di profondo malessere. Questa distanza esprime una delusione e una mancanza di incarnazione. Troppa lontananza dalla vita reale è, a ben pensarci, lontananza dalla spiritualità cristiana. Inoltre, la democrazia odierna soffre di leaderismo e di accentramento personalistico: anche questo è sintomo di un tradimento del mistero pasquale di croce e resurrezione.
Prevalgono le logiche mondane del contare e del contarsi più che la preoccupazione di servire gli ultimi. C’è da chiedersi quale modello relazionale oggi la politica è in grado di promuovere… Essa deve saper fare i conti con la sofferenza e la croce.
Gli obiettivi di mettere insieme le persone, di creare comunità e di costruire una società fraterna richiedono umiltà e talvolta passano per la via del fallimento umano. La categoria di vittoria non è l’unica in grado di interpretare la politica. Serve anche la capacità di condivisione e di progettazione a lungo raggio, senza la preoccupazione di occupare tutti gli spazi del potere.
Il libro attraversa il pensiero e il contributo dei cristiani alla politica. Quale un eventuale bilancio storico?
Non è scopo del libro quello di fare un bilancio storico dell’impegno politico dei cattolici in Italia. La questione è più radicale: si tratta di mostrare che la vita di chi è coerente con la propria fede esprime una spiritualità che diviene patrimonio condiviso. Consola il fatto che anche nei periodi complessi e bui del nostro Paese abbiamo assistito all’impegno di politici cattolici capaci di autentica testimonianza per disinteresse, libertà e spirito critico. Insomma, Dio non ci abbandona mai!
Oggi i cristiani – la comunità cristiana nel suo insieme – hanno qualcosa di specifico e originale da portare nella vita politica? Nelle parrocchie, nelle diocesi, nell’associazionismo cattolico c’è spazio per la formazione all’impegno sociale e politico? Si coltivano vocazioni alla politica?
I cristiani hanno uno specifico da portare nel mondo. Il loro contributo riguarda sia il contenuto che lo stile. Le due cose sono strettamente connesse. Lo stile del politico credente assume lo sguardo di Dio sulla realtà.
Uno sguardo impegnativo, perché Dio vede e ascolta il grido del povero e della creazione, fa sua la condizione dell’oppresso. Gesù Cristo si schiera, è uomo “di parte”.
Nella Bibbia questo atteggiamento è molto presente e sta a fondamento di una fraternità ampia, che non conosce preferenze di persone, come aveva ben compreso l’apostolo Pietro negli Atti degli Apostoli. Nella comunità cristiana occorre formare a questo stile di cristianesimo, disposto a dare voce a chi non ha voce.
Dalla dottrina sociale – i principi, la “teoria” – ai partiti, ai programmi politici: dal cristianesimo ci si può attendere oggi una laica ed efficace mediazione? Un contributo disinteressato, trasparente e moderno al bene comune?
Dobbiamo superare le dicotomie tra teoria e pratica, princìpi e concretezza. Noi sappiamo, in realtà, che niente è più concreto del pensiero. Esso determina le scelte. Le incanala. Motiva all’impegno. Senza una teoria non c’è neppure una prassi. Il passaggio dall’uno all’altro livello è possibile grazie alla coscienza delle persone che si mettono in gioco e sanno promuovere una mediazione alta. Ciò fa davvero la differenza. La vera mediazione non sta nella scelta mediocre, ma nella mistica dell’incarnazione che prende sul serio le persone e le loro esistenze. Ad esempio, Giorgio La Pira è stato un mistico: uomo di preghiera e contemplazione, ma proprio per questo si è impegnato in favore degli ultimi, tanto da essere mal tollerato nel suo stesso partito. La scelta radicale per i poveri, i disoccupati, i senzatetto lo hanno portato a prendere decisioni anche impopolari presso i poteri forti del suo tempo. Ma la sua fede lo ha sostenuto nello schierarsi con gli esclusi. Senza se e senza ma.
Democrazia, diritti, pace, giustizia sociale, tutela del creato: quali, a suo avviso, i fronti che richiederebbe un impegno urgente dei cristiani?
Tutti questi temi sono importanti, a cui andrebbero aggiunte le questioni legate ai rischi della tecnocrazia, la promozione della vita umana in tutte le sue forme, il lavoro dei giovani e delle donne, l’educazione e le politiche familiari, la solitudine degli anziani e l’accesso alle cure per le persone più fragili… La politica che vuole dirsi tale ha bisogno di guardare in faccia le persone con le esigenze concrete. Il tempo che stiamo vivendo ci rivela una priorità fondamentale grazie ai due fari del magistero sociale: la cura del creato proposta dalla Laudato si’ e la pace fraterna offerta dalla Fratelli tutti.
Nel libro lei presenta alcuni testimoni dell’impegno per il bene comune: da Tina Anselmi a Giorgio la Pira, arrivando a David Sassoli. Di quest’ultimo, la figura a noi più vicina, quali caratteristiche sottolineerebbe se dovesse presentarlo a dei giovani?
David Sassoli è stato un giornalista prestato alla politica. Nel suo impegno però non ha mai smesso di fare riferimento all’insegnamento sociale della Chiesa. Il magistero ha rappresentato per lui una bussola da tenere fissa in ogni scelta e decisione. Ha attraversato il dramma della pandemia come presidente del Parlamento europeo e ha creduto in una politica coraggiosa per mettere all’angolo gli esperti divulgatori della rabbia e della paura.
Ha creduto nella democrazia come strumento di libertà per ridisegnare il rapporto tra i popoli e le persone. Ha sognato un mondo più solidale, dove nessuno sia abbandonato a se stesso.
Ha scritto saggiamente, lasciandosi ispirare dal suo maestro Giorgio La Pira: “Cominciamo a occuparci dei tanti poveri e meno dei pochi ricchi”. Una visione innovativa della politica, che comincia dal cuore, contagia gli occhi e aziona le mani. Tanta roba, anche per i giovani che hanno sete di giustizia.