Discernimento, per essere-con. La Catechesi di papa Francesco
La vita di comunione è il fine di tutto, e il parametro fondamentale del discernimento: quello che non porta a un di più di comunione, foss’anche di un piccolo passo, non è da Dio, perché Dio è amore, cioè comunione, e discernere non significa diventare sapienti asettici, ma uomini e donne capaci sempre più di comunione, cioè di amore
Davvero a malincuore chiudiamo con questo commento l’itinerario voluto da Papa Francesco sul tema del discernimento, per mezzo del quale egli, attingendo al fondamento della sua vocazione e alla sua pluridecennale missione nella Compagnia di Gesù, ci ha offerto tutti gli elementi essenziali per iniziare a farlo, il discernimento, a partire dalle cose della nostra vita concreta di tutti i giorni. Perché il discernimento è un’arte per la vita, non per i concetti, e il gesuita Francesco, pur nei limiti di udienze costrette a tempi limitati e poco personalizzabili, ci ha in queste settimane indicato i cardini e offerto una bussola; ora sta a noi metterci in ascolto della vita, verificare cosa si muove in noi, saggiare le nostre decisioni… però tutto questo non si fa da soli, come indica il Papa proprio nell’ultima catechesi del 4 gennaio, con un monito molto importante a riguardo: “Guardarsi allo specchio, da soli, non sempre aiuta, perché uno può alterare l’immagine. Invece, guardarsi allo specchio con l’aiuto di un altro, questo aiuta tanto perché l’altro ti dice la verità – quando è veritiero – e così ti aiuta.”
“Alterare l’immagine”… il problema fondamentale della nostra felicità o infelicità, se ci soffermiamo un attimo a riflettere (ovvero se ci guardiamo allo specchio una volta tanto con sincerità e umiltà), è che di rado abbiamo un’idea realistica di noi stessi: quasi sempre ci deformiamo per eccesso o per difetto, e restiamo tutta la vita prigionieri di un io ideale tirannico, sotto il quale possiamo decidere di flagellarci o col quale possiamo provare a scendere a compromessi, scindendoci tra facciata e realtà.
Ecco perché la sapienza cristiana ci viene in soccorso ricordandoci che
la salvezza è un fatto di relazioni, perché il Dio che ci salva è relazioni, e perché il Figlio ha preso il volto e la voce di un uomo perché potessimo relazionarci con Lui.
Da qui, l’importanza dell’accompagnamento spirituale per la crescita sapienziale in un vero discernimento: “L’accompagnamento spirituale, se è docile allo Spirito Santo, aiuta a smascherare equivoci anche gravi nella considerazione di noi stessi e nella relazione con il Signore. Il Vangelo presenta diversi esempi di colloqui chiarificatori e liberanti fatti da Gesù. […] Le persone che hanno un incontro vero con Gesù non hanno timore di aprirgli il cuore, di presentare la propria vulnerabilità, la propria inadeguatezza, la propria fragilità. In questo modo, la loro condivisione di sé diventa esperienza di salvezza, di perdono gratuitamente accolto”.
Non è certo solo la fede a dirci l’importanza della comunicazione a un altro dei nostri stati interiori: è la natura stessa del pensiero che ci abita come autocoscienza a urgere per un’espressione, e nel venire alla luce come parola rivolta a un altro, tale coscienza si oggettiva, e i moti che la attraversano si evidenziano o si ridimensionano, e senz’altro diventano osservabili da un incrocio di sguardi che rende il mio vissuto interiore più lineare ed evidente.
“Raccontare di fronte a un altro ciò che abbiamo vissuto o che stiamo cercando aiuta a fare chiarezza in noi stessi, portando alla luce i tanti pensieri che ci abitano, e che spesso ci inquietano con i loro ritornelli insistenti. Quante volte, in momenti bui, ci vengono i pensieri così: ‘Ho sbagliato tutto, non valgo niente, nessuno mi capisce, non ce la farò mai, sono destinato al fallimento’, quante volte è venuto a noi pensare queste cose. Pensieri falsi e velenosi, che il confronto con l’altro aiuta a smascherare, così che possiamo sentirci amati e stimati dal Signore per come siamo, capaci di fare cose buone per Lui. Scopriamo con sorpresa modi differenti di vedere le cose, segnali di bene da sempre presenti in noi”.
In particolare i pensieri neri, i logismoi che dal profondo del nostro sepolto ci sussurrano la menzogna della nostra non-amabilità, non tollerano il venire alla luce della comunicazione spirituale nella direzione spirituale e nella confessione: “Il demonio si comporta come un frivolo corteggiatore che vuole rimanere nascosto e non essere scoperto. Infatti un uomo frivolo, che con discorsi maliziosi circuisce la figlia di un buon padre o la moglie di un buon marito, vuole che le sue parole e le sue lusinghe rimangano nascoste; è invece molto contrariato quando la figlia rivela le sue parole licenziose e il suo disegno perverso al padre, o la moglie al marito, perché capisce facilmente che non potrà riuscire nell’impresa iniziata. Allo stesso modo, quando il nemico della natura umana presenta a una persona retta le sue astuzie e le sue lusinghe, vuole e desidera che queste siano accolte e mantenute segrete; ma quando essa le manifesta a un buon confessore o ad altra persona spirituale che conosca gli inganni e le malizie del demonio, questi ne è molto indispettito; infatti capisce che non potrà riuscire nella malizia iniziata, dato che i suoi evidenti inganni sono stati scoperti” (sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 326).
L’importanza dell’apertura del quale, onde discernere tra menzogne e verità in noi, naturalmente è un grande atto di fiducia, perché affidiamo a un altro la nostra parte più intima e delicata. Tale fiducia però implica il corrispettivo di un grande rispetto, per il quale l’accompagnatore spirituale in ogni istante deve ricordarsi che è a servizio della persona che ha davanti,
per la quale non è la personificazione di un giudice, ma deve essere angelo di luce e di speranza, che aiuti la persona a comprendersi man mano sempre più amata, sorretta dalla vita di comunione della Chiesa intera, perché questo è il fine di ogni atto, percorso, proposta, cammino, esercizio, ecc. nella Chiesa: la vita di comunione. “Questo accompagnamento può essere fruttuoso se, da una parte e dall’altra, si è fatta esperienza della figliolanza e della fratellanza spirituale. Scopriamo di essere figli di Dio nel momento in cui ci scopriamo fratelli, figli dello stesso Padre. Per questo è indispensabile essere inseriti in una comunità in cammino. Non siamo soli, siamo gente di un popolo, di una nazione, di una città che cammina, di una Chiesa, di una parrocchia, di questo gruppo … una comunità in cammino. Non si va al Signore da soli: questo non va. Dobbiamo capirlo bene”.
La vita di comunione è il fine di tutto, e il parametro fondamentale del discernimento:
quello che non porta a un di più di comunione, foss’anche di un piccolo passo, non è da Dio, perché Dio è amore, cioè comunione, e discernere non significa diventare sapienti asettici, ma uomini e donne capaci sempre più di comunione, cioè di amore.
Alessandro Di Medio