Disabilità. La fortuna di rimanere a casa propria (anche se in isolamento)
Due storie di positività al covid di chi sta sperimentando l’autonomia abitativa in tempo di pandemia. Articolo pubblicato sulla rivista SuperAbile Inail
Dopo giorni e giorni di vite separate, un pomeriggio Mirko si avvicina alla barriera di plastica semitrasparente che divide l’appartamento e allunga una mano. Dall’altra parte c’è Luca, che coglie il movimento e pian piano ricambia lo stesso gesto. In mezzo a loro un confine visibile divide i loro corpi a causa del covid, ma non separa la loro amicizia costruita in mesi e mesi di convivenza a Casa in San Donato, all’ombra delle Due Torri. In un anno così difficile, gli operatori della cooperativa sociale Cadiai e il personale della Fondazione Dopo di noi Bologna, che si occupa di persone con disabilità intellettiva, hanno dovuto proteggere i più fragili dalla pandemia attrezzandosi affinché, chi fosse malato, potesse essere curato nella casa in cui viveva senza intaccare la salute e la sicurezza degli altri coinquilini e senza interrompere il proprio progetto di autonomia abitativa.
Diversa, invece, la situazione di cinque ragazze con sindrome di Down di Padova che vivono a Casa Petrarca, un appartamento gestito dalla cooperativa sociale Vite Vere Down Dadi. Il 5 novembre scorso una di loro è risultata positiva al covid e ovviamente si è allontanata dalle altre, trasferendosi a casa dei genitori. Come da prassi anche le altre quattro coinquiline hanno fatto il test e, nonostante il risultato negativo, sono rimaste in isolamento per dieci giorni senza poter più contare sulla presenza fisica di un operatore di supporto, che saltuariamente si reca a controllare che tutto proceda per il verso giusto, manifestando la volontà di non voler tornare in famiglia per tutelare e proteggere i propri cari. Che fare quindi? Rimboccarsi le maniche e darsi da fare molto più di prima.
Già abituate a gestire in autonomia la loro quotidianità tra faccende domestiche, vita sociale, impegni di sport e lavoro, si sono ritrovate anche a dover rispettare scrupolosamente prassi di sanificazione e videochiamate con la psicologa e con mamma e papà che volevano accertarsi che stessero bene. «Il primo giorno è stato duro per tutti, un bel colpo anche per noi operatori», ricorda Micol Pelliccia, che supporta le ragazze nella gestione della sfera emotiva e affettiva relativa alle dinamiche di gruppo della convivenza. «Non avevamo idea di come avrebbero potuto reagire. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata quella di andare sotto al loro balcone, salutarle e chiedere se avessero voglia di qualche “coccola”. Così ho preparato subito cachi, castagne e melograni per addolcire il loro isolamento». Silvia, Giulia e le altre sono state bravissime, hanno affrontato questo imprevisto e tutti i cambiamenti conseguenti con grande consapevolezza, «superando ogni nostra aspettativa».
Le quattro ragazze hanno sfruttato la tecnologia digitale non solo per restare in contatto con la loro coinquilina positiva e con le proprie famiglie, ma anche per usufruire del servizio di spesa online per l’acquisto di generi alimentari (e quant’altro). Hanno, inoltre, gestito con grande indipendenza le loro giornate, suddividendosi le faccende domestiche in maniera completamente autonoma. Non sono mancati i momenti difficili, ma anche in questo si sono aiutate tra loro, superandoli insieme. I dieci giorni di isolamento sono così trascorsi tra impegni sul web, grandi chiacchierate, pranzi e cene preparati con calma, un po’ di cyclette, momenti di noia e anche di nostalgia. Ma siccome tutto è bene quel che finisce bene, alla fine il quintetto di Casa Petrarca si è finalmente riunito più forte che mai.
«La cosa più interessante è stata la piena consapevolezza e responsabilità dimostrata in questa situazione critica dalle nostre quattro giovani donne. Hanno dato prova di grande maturità e spirito di adattamento: dovevano farcela da sole e ce l’hanno fatta. Un segnale potente per noi che abbiamo quotidianamente contatto con persone con disabilità intellettiva», conclude Jehona Sehu, coordinatrice dei progetti di autonomia abitativa della cooperativa Vite Vere Down Dadi. (M. T.)
(L’articolo è tratto dal numero di SuperAbile INAIL di febbraio, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)