“Dico grazie, nonostante tutto”. La fede di un padre che in un incidente ha perso la moglie e due figli
Nelle stesse ore in cui Jannik Sinner sollevava a Melbourne il trofeo degli Australian Open, nella chiesa parrocchiale di Sesto Pusteria ci sono tre bare, due delle quali bianche
Siamo a fine gennaio. Nelle stesse ore in cui Jannik Sinner vince il primo torneo del Grande Slam e solleva a Melbourne il trofeo degli Australian Open, a 16mila chilometri di distanza, nella chiesa parrocchiale di Sesto Pusteria dedicata ai santi apostoli Pietro e Paolo, nel silenzio generale viene alzato il calice. Ai piedi dell’altare tre bare, due delle quali bianche.
“È successa una tragedia a Sesto, con un incidente di tre morti con figli molto giovani – spiega il tennista altoatesino che di lì a qualche settimana sarebbe diventato il numero 1 del ranking Atp –. Non sono voluto andare a festeggiare a Sesto per questo motivo”.
Sesto, lunedì 22 gennaio. L’intera famiglia è riunita attorno alla tavola per il pranzo. “Hai programmi per questo pomeriggio?”, chiede Christian alla moglie Monika. “La neve è bella”, risponde lei. “Pensavo di andare con mamma a sciare o a fare una passeggiata in val Fiscalina. Ma dovrei anche andare a fare compere a Lienz, perché Kassian venerdì ha il primo allenamento di calcio e gli mancano le scarpe”.
Sono trascorsi nove mesi. E Christian ricorda ogni istante di quella giornata. Di quel tardo pomeriggio quando stava sbrigando le ultime pratiche prima di tornare a casa. In ufficio si ritrova all’improvviso otto sconosciuti. Carabinieri, poliziotti e uomini dell’assistenza spirituale della Croce Bianca. “Ci spiace informarla, signor Tschurtschenthaler, che questo pomeriggio attorno alle 15.30 c’è stato un brutto incidente sulla Drautal. C’era una curva. E l’auto su cui viaggiavano sua moglie e i suoi figli, si è andata a scontrare frontalmente contro un bus di linea”.
Quelle parole risuonano ancora oggi nella mente e nel cuore di Christian. Lo racconta al quotidiano Dolomiten in una lunga intervista, ripresa su Fb anche dal portale Stol.it.
Nello violento scontro avevano perso la vita la moglie Monika (47) e il più piccolo dei suoi tre figli, Matthäus (7). Gli altri due figli, Kassian (10) e Benedikt (13) erano ancora vivi, ma le loro condizioni erano disperate. Kassian spirerà poche ore dopo il ricovero nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Klagenfurt. Benedikt lotterà due giorni, tra la vita e la morte, nella rianimazione della clinica universitaria di Innsbruck.
“Mi sono sentito impotente – racconta oggi Christian Tschurtschenthaler – come se mi mancasse la terra sotto i piedi”. Gli era rimasto solo il più grande dei suoi bambini, che in quel momento era più fragile di un filo d’erba. “E a quel filo d’erba mi sono aggrappato – prosegue Christian – e ho pregato insistentemente Dio di lasciarmi mio figlio”.
Oggi Benni (Benedikt) siede accanto a papà Christian. Sta fisicamente bene e non ha ferite. Per la medicina è un miracolo. Quando nel pomeriggio del 22 gennaio è arrivato alla clinica universitaria di Innsbruck aveva fratture a clavicola, sterno, bacino, naso e a una vertebra cervicale. Aveva inoltre lesioni a milza, polmoni, intestino, legamenti e muscoli e, non da ultimo, una grave emorragia cerebrale. “Le lesioni riscontrate dai medici al suo arrivo in ospedale – racconta oggi Christian – sono raccolte in otto pagine –. Nessuno in quelle ore mi ha dato grandi speranze. Al telefono mi hanno solo rassicurato che mio figlio era in ottime mani”. Due giorni dopo l’incidente Christian è a Innsbruck. Benedikt viene dichiarato fuori pericolo. Dell’incidente e dei giorni trascorsi in coma il ragazzo non ricorda nulla. Ricorda solo del trasferimento nella “suite presidenziale”, la stanza di terapia intensiva nel reparto di pediatria in cui è stato trasferito a metà febbraio. Un paio di giorni prima Benedikt era stato risvegliato brevemente dal coma farmacologico. Aveva riconosciuto suo papà e aveva cercato di parlare. Ma dopo tre settimane di coma, attaccato alle macchine, la voce era molto flebile. “Quel momento è stato per me un grande sollievo – racconta Christian –. Fino ad allora nessuno era in grado di dirmi quali sarebbero state le conseguenze dell’incidente. Benedikt sarebbe potuto rimanere cieco, forse non sarebbe più stato in grado di parlare o non sarebbe potuto rimanere paralizzato nella parte destra del corpo”.
Al di là delle conseguenze fisiche dell’incidente, c’erano anche quelle psicologiche. Christian, con il supporto di medici e psicologi, ha dovuto raccontare al figlio cosa era successo quel pomeriggio. Dirgli che sua mamma e i suoi due fratellini erano morti. Un dialogo tra padre e figlio che sarebbe stato decisivo per la vita di entrambi. “Quel colloquio è durato due ore – ricorda oggi Christian – ma non abbiamo solo parlato. Sono sicuro che il Signore Dio e i tre che ora sono lassù mi hanno dato la forza per affrontare anche questo”. E quando, più tardi, Benedikt gli ha detto “Gel Tata, da ora non siamo più un Team ma un Dream-Team”, Christian ha capito che erano sulla strada giusta per ricominciare a vivere. La ripresa di Benedikt è stata sorprendente. Il 28 febbraio è stato dimesso dalla clinica pediatrica di Innsbruck e trasferito nel reparto di neuroriabilitazione di Vipiteno. Il 22 marzo, due mesi dopo l’incidente, era di nuovo a casa, dove ad attenderlo nella Stube (soggiorno) c’erano i suoi compagni di scuola. “Entrambi abbiamo desiderato ardentemente quel momento”, rivela Christian. Tre giorni più tardi Benedikt era di nuovo a scuola. A giugno ha sostenuto l’esame di terza media. Come progetto multidisciplinare ha portato una ricerca in tre lingue sulla clinica universitaria di Innsbruck e sul suo ricovero, documentando puntualmente le sue ferite e le cure a cui è stato sottoposto. E con un bell’8 in pagella ha iniziato a settembre la 1.a dell’istituto tecnico economico di San Candido.
“Ci è stato dato un grosso fardello da portare – sottolinea oggi Christian – ma fin dai giorni trascorsi a Innsbruck ho iniziato a dire grazie. Sarebbe potuto andare molto peggio”. E mentre parla ripensa alle ferite riportate da Benedikt e alle gravi conseguenze che potevano manifestarsi. E pensa anche che Monika non sarebbe mai riuscita a sopportare di sopravvivere alla morte dei suoi figli. “Credo che la nostra famiglia non avrebbe retto”, aggiunge. Con Monika erano consapevoli di quanto la loro vita era stata accompagnata dalla fortuna. E anche ora che il destino si è scagliato senza pietà contro di loro, Christian non dimentica che è una fortuna il poter essere oggi una “squadra tutta al maschile” con suo figlio Benedikt.
La scorsa estate, Christian ha trascorso molto tempo con Benedikt. Sono stati spesso in montagna e hanno scalato la ferrata Campanile Collesei (2.600 m). Sono poi andati a vedere le olimpiadi a Parigi. Era un viaggio pianificato da prima dell’incidente. “Quando era ancora in ospedale Benni mi ha fatto promettere che saremmo andati comunque. Non è stato facile ma oggi posso dire che è stata la scelta giusta. Ci siamo divertiti e abbiamo anche riso tanto”. Sono tornati a ridere, Christian e Benni. “La vita è bella – sottolinea il 58enne di Sesto – e ha preparato tante cose belle per noi. Certo, ci sono i momenti bui, ma grazie a Dio sono brevi e raramente non vengono a tutti e due contemporaneamente. Così uno aiuta l’altro”. Tra le tante domande che si affollano nella mente c’è anche quel “perché è successo tutto questo”, al quale non è possibile dare una risposta. Le feste di fine anno si avvicinano e Christian sa già che saranno giorni faticosi. Ma sa anche che potrà contare sulla presenza e sul sostegno di una comunità che in questi mesi si è fatta famiglia.
In un angolo della Stube c’è una grande torre fatta di mattoncini Lego. “Costruisco una torre che arriva fino in cielo”, aveva detto Kassian pochi giorni prima dell’incidente”.
Gli occhi di Christian si velano di lacrime.
“La parte più grande della nostra famiglia è oggi lassù, la più piccola è qui. Ma è bene ricordare che oggi loro sono insieme in un luogo meraviglioso. I più piccoli hanno bisogno della mamma e ora sono con lei. Noi quaggiù ce la caveremo”.