Dalla Divina Commedia ai buchi bianchi. Dante affascina ancora oggi: non solo la filosofia e la letteratura, ma perfino la fisica

Dante ha saputo intuire, talvolta inconsapevolmente, ma nella profondità del genio libero dalle remore della banalità modaiola, i segreti dell’universo.

Dalla Divina Commedia ai buchi bianchi. Dante affascina ancora oggi: non solo la filosofia e la letteratura, ma perfino la fisica

Non è la prima volta che la Divina Commedia viene associata alla scienza: l’aristotelismo dei tempi di Dante era passato attraverso la lettura di san Tommaso, fino a istituire una visione della realtà in cui la scienza si univa alla metafisica. In questo modo l’”altre stelle”, il sole, la luna, la terra del capolavoro dantesco sono state interpretate anche in rapporto con la conoscenza scientifica del tempo.

Ora si aggiunge un altro tassello a questa analisi della Commedia (il termine “divina” venne aggiunto molto tempo dopo), quello della affascinante ipotesi dell’esistenza di buchi bianchi, che, secondo l’omonimo libro di Carlo Rovelli edito da Adelphi, potrebbero, il condizionale è obbligato dalla sua natura di ipotesi, rappresentare una via d’uscita dai buchi neri. Certo, per la stessa ammissione del fisico teorico, membro dell’Accademia internazionale di filosofia delle scienze, si tratta di ipotizzare cosa potrebbe accadere là dove le equazioni classiche non funzionano più.

Perché poi bisognerebbe capire cosa accade se uno si fa attirare dall’orizzonte di un buco nero, ingoiare e poi forse rigettare fuori dall’ipotetico buco bianco. Passare attraverso lo schiacciamento significa tentare, come afferma lo stesso Rovelli, il viaggio di Ulisse, significa penetrare nel regno della super e oltre materia -la carne, la gola, l’avarizia-, nel regno oscuro. Significa poi camminare con la guida della vera conoscenza, che in Rovelli è anche il dubbio che porta a nuove scoperte, in Dante il riconoscimento di quei dubbi e delle irresolutezze del passato, ma soprattutto la guida di Virgilio, fino all’uscita dalla voragine e dal cammino penitenziale nella visione, preclusa agli altri mortali, dello splendore divino.

Questo altrimenti indicibile viaggio inizia con l’inghiottimento in una voragine in cui ogni cosa viene schiacciata dal peso del peccato -in Dante- e in cui la dimensione dello spaziotempo è completamente annullata. Come scrive il fisico, ispirato dal poeta, “cadendo dentro il buco nero, è là che andiamo a finire. Quell’è ‘l più basso loco e ‘l più oscuro, e ‘l più lontan dal ciel che tutto gira”.

Buco bianco come speranza, come uscita dal male e dall’inferno dopo il cammino espiatorio e ingresso finalmente nel Giardino senza più spazio e tempo?  Tesi affascinante, e sorretta dalla interpretazione artistica, ad esempio quella di Ennio Calabria, uno dei più grandi pittori d’oggi e non solo in Italia, che nella sua acquaforte “Dante si fa cosa del cosmo” immagina il corpo del padre della nostra letteratura che si curva fino a divenire un corpo celeste immerso nell’immenso giro di ogni cosa; il che rimanda ad un altro rilevante episodio della consapevolezza di questa attrazione del Centro di ogni cosa: l’antropologo gesuita Marcel Jousse nel suo “L’antropologia del gesto” ha messo in evidenza come l’abbracciare, il cullare, il danzare, siano gesti che mimano l’infinita circolarità del movimento del cosmo, della rotazione dei corpi, dell’universo intero.

Per questo Dante rimane anche nelle possibilità di sviluppo della scienza odierna: ha saputo intuire, talvolta inconsapevolmente, ma nella profondità del genio libero dalle remore della banalità modaiola, i segreti dell’universo e quel cammino della fisica che attraverso i buchi bianchi potrebbe portare a quel “quindi uscimmo a riveder le stelle”.

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Fonte: Sir