Dalla Cina con rigore
Il ministro dell'economia Giovanni Tria rilascia un'intervista al quotidiano cinese Guangming Daily in cui rassicura gli investitori: l'Italia sarà coerente con gli impegni presi.
Un'intervista da protocollo, come se ne leggono tante in questi giorni sulla stampa italiana. Il giornalista chiede e il ministro risponde, dichiara, a volte sentenzia.
A leggerne alcune di queste interviste sembra di essere tornati nella Napoli di De Crescenzo, quella in cui «quando parla Bellavista, dotto'... è cassazione!» insomma, non ammette repliche o dubbi di sorta.
Il ministro dell'economia Giuseppe Tria, in viaggio in Cina, rimane però fedele al suo ruolo di colomba dell'esecutivo e di fronte alle domande — molto garbate, prudenti, concordate? — risponde con una chiarezza nient'affatto scontata.
Ho scelto la Cina per due motivi. In primo luogo, il governo italiano ritiene importante rafforzare il dialogo economico e la cooperazione tra Roma e Pechino e credo che esistano ampi margini per ampliare la collaborazione tra i due Paesi in molti settori economici di reciproco interesse. Più in generale, e questo è il secondo motivo, ritengo importante rafforzare il dialogo tra Europa e Cina sulle grandi questioni strategiche poste dalla globalizzazione.
Cooperazione, collaborazione e globalizzazione: la visita del ministro Tria riporta indietro di qualche anno le lancette della storia, ad una stagione in cui ancora non si sentivano le sirene del protezionismo montante.
È un grande progetto di cooperazione internazionale diretto a connettere economie e popoli. I principi del libero mercato, del multilateralismo e dello sviluppo sostenibile, alla base della Nuova Via della Seta, sono da noi accolti con grande favore e condivisi. Sicuramente il progetto rappresenta un'opportunità che l'Italia vuole cogliere a tutti i livelli, sia sul piano economico sia sul piano del contributo per la realizzazione di una grande area di coesistenza e collaborazione pacifica tra culture e popoli.
Non si può certo dire che Tria sia diventato un sovranista convinto, insomma, ma per esserne certi basta leggere la risposta all'ultima domanda.
Le politiche protezioniste non giovano all'economia e in genere portano danno a tutti i paesi coinvolti. È bene quindi sviluppare un dialogo che consenta di superare ogni incomprensione e rafforzare il libero scambio. L'economia italiana sarebbe sicuramente danneggiata dall'affermarsi di politiche protezionistiche, sia direttamente sia indirettamente, poiché quella italiana è un'economia di trasformazione, che ha sempre prosperato nei periodi di sviluppo del commercio internazionale e di apertura dei mercati. Siamo il secondo paese manifatturiero europeo che vive di importazioni ed esportazioni
Prendere a spallate i fondamenti del trumpismo non è un'idea poi così originale, diverso sarebbe se Tria avesse difeso gli impegni presi con l'Europa e il criticatissimo vincolo del 3% nel rapporto deficit - pil...
Criticato sì, «ma è molto diverso dal dire che lo supereremo» ha dichiarato ancora il Ministro, e per un attimo la colomba vola più svelta dei falchi e degli sciacalli.
Comunicato stampa