Covid, Istat: la mortalità indotta dal virus ha provocato 99mila morti
Sono 53mila uomini e 46mila donne, deceduti per gli effetti diretti o indiretti della pandemia. A livello nazionale l'eccesso di mortalità registrato rappresenta il 13%: il 19% al Nord, l'8% al Centro e il 7% Mezzogiorno
L'Istat ipotizza che la mortalità indotta direttamente o indirettamente dal Covid abbia provocato 99mila morti.
Secondo il Sistema di Sorveglianza Nazionale integrata dell'Istituto Superiore di Sanità, nel corso del 2020 sono stati registrati 75.891 decessi 3 attribuibili in via diretta a Covid-19. Tuttavia, come già evidenziato, l'incremento assoluto dei decessi per tutte le cause di morte sull'anno precedente è stato pari a +112 mila. Così, se da un lato è possibile ipotizzare che parte della mortalità da Covid-19 possa essere sfuggita alle rilevazioni, dall'altro è anche concreta l'ipotesi che una parte ulteriore di decessi sia stata causata da altre patologie letali che, nell'ambito di un Sistema sanitario nazionale in piena emergenza, non è stato possibile trattare nei tempi e nei modi richiesti.
In attesa degli approfondimenti sui dati dettagliati per causa di morte, che nello specifico ripercorrono le fasi di ciascun singolo decesso del 2020 (dalle cause iniziali alle complicanze, fino alla causa letale ultima), è possibile effettuare alcune valutazioni di massima.
Se, ad esempio, nel corso del 2020 si fossero riscontrati i medesimi rischi di morte osservati nel 2019 (distintamente per sesso, età e provincia di residenza e applicati ai soggetti esposti a rischio di decesso 4 ) i morti sarebbero stati 647mila, ossia soltanto 13mila in più rispetto all'anno precedente, invece dei 112 mila registrati. Ne consegue che la mortalità indotta direttamente/indirettamente da Covid-19 ammonta a 99mila decessi, un livello che può considerarsi come limite minimo. Infatti, nei primi due mesi del 2020, in una fase antecedente alla diffusione del virus, i decessi sono stati 6.877 in meno rispetto agli stessi mesi del 2019. È dunque lecito ipotizzare che senza la pandemia i rischi di morte sarebbero stati inferiori e non, come qui è ipotizzato ai fini del calcolo, precisamente eguali.
Delle 99mila unità stimate come eccesso di mortalità 53mila sono uomini e 46mila donne, a riprova che la pandemia ha prevalentemente colpito il genere maschile. In base all'età le perdite umane in eccesso si concentrano tutte dopo i 50 anni e risultano maggiori all'avanzare dell'età. Fino a sotto i 50 anni, infatti, l'ipotesi di rischi di morte costanti nel 2020 sui livelli espressi nel 2019 produce un numero di decessi atteso in ogni caso superiore, di circa 1.500 unità, a quello realmente osservato nonostante la pandemia. Ciò avvalora non solo la tesi che la letalità del virus sia di fatto irrilevante nelle classi di età più giovani, ma anche quella che senza la pandemia il 2020 avrebbe potuto essere un buon anno per le prospettive di sopravvivenza nel Paese.
Si registra invece un eccesso di mortalità nelle età più fragili, che per gli uomini interessa soprattutto le classi 80-84 e 85-89 anni (circa 22mila decessi in più) mentre per le donne, in ragione di una presenza più numerosa, l'eccesso prevale nella classe 90-94 anni (oltre 15mila decessi in più).
A livello nazionale l'eccesso di mortalità rappresenta il 13% della mortalità riscontrata nell'anno, ma la situazione è molto varia sul piano territoriale. Nel Nord rappresenta il 19%, nel Centro l'8% e nel Mezzogiorno il 7% del totale. A livello regionale i valori variano dal 4% di Calabria e Basilicata al 25% (un decesso su quattro) della Lombardia. In quest'ultima regione, peraltro, emergono le aree più colpite. Nella provincia di Bergamo l'eccesso di mortalità costituisce il 36% del totale, in quella di Cremona il 35%, in quella di Lodi il 34%. (DIRE)