Coronavirus Covid-19. Erri De Luca: “Sperimentiamo una condizione nuova di tempo sospeso”
Il lunedì in Albis - Pasquetta - gli italiani sono abituati a fare, con amici e parenti, la gita fuori porta, ma con l'epidemia in corso tutte le nostre abitudini sono cambiate e con l'obbligo di restare a casa ogni attività è rimandata a data da destinarsi. Ma anche se non possiamo incontrarci con i nostri amici, al tempo del coronavirus "la socialità si è rafforzata", sostiene lo scrittore originario di Napoli
Il coronavirus è un ciclone che porta con sé tutto via: oltre al dolore per i morti e la sofferenza per i malati, ha modificato il nostro modo di vivere. Per chi crede quella appena trascorsa è stata una Pasqua unica, con celebrazioni a porte chiuse e senza concorso di popolo, ma anche da un punto di vista più laico, di solito le pur brevi vacanze pasquali si identificano, per molti, con la possibilità di fare qualche viaggetto e, soprattutto, il lunedì in Albis c’è l’abitudine di trascorrerlo fuori con gli amici. Quest’anno non è possibile. Del cambiamento delle nostre abitudini parliamo con lo scrittore Erri De Luca.
Oggi è Pasquetta: un giorno che gli italiani hanno sempre dedicato alla gita fuori porta con gli amici. Quest’anno saremo chiusi in casa e senza amici…
Stiamo attraversando una limitazione della mobilità necessaria e condivisa. Gli italiani hanno reagito con senso civico dovuto al fatto straordinario che un governo si stia occupando della salute e della vita dei cittadini, invece che di manovre finanziarie. È uno stato di eccezione e dopo diverse settimane
si sta sperimentando una condizione nuova di tempo sospeso.
A maggior ragione le festività sono fuori luogo in questo periodo.
Nella vita frenetica che conduciamo normalmente ci lamentiamo sempre di non avere tempo per noi stessi. Ora di tempo ne abbiamo tanto…
Strano e sconvolgente abituarsi alla clausura domestica, però ci si abitua. Definisco uno stato di assedio attenuato la condizione presente. Attenuato perché non c’è penuria di generi alimentari, elettricità, acqua, carburante.
Sarà un tempo che ricorderemo come una severa educazione al risparmio e al rispetto dell’ambiente. Severa perché pagata con gravi lutti.
Dai dati che diffonde ogni giorno il Viminale sono in tanti a infrangere le regole e non restare a casa. Qualcuno ha sottolineato che, in realtà, la maggioranza degli italiani non è chiamata ad andare in guerra né a rischiare la vita curando malati o aiutando chi ha bisogno di aiuto. A, suo giudizio, allora, cosa pesa nel rispettare disposizioni che sono per il bene di tutti?
I numeri di chi trasgredisce la consegna senza valido motivo li considero invece trascurabili, sull’insieme di quelli che la rispettano.
Credo che influiscano tensioni domestiche che fanno preferire un rischio di sanzione, piuttosto che esasperarle. Non costituiscono valido motivo, ma applico personalmente la clausola dell’attenuante.
Ho il vantaggio di abitare da solo e quando litigo con me stesso non serve buttarmi fuori di casa.
In questi giorni vediamo anche tanti esempi di eroismo e coraggio, partendo da medici, infermieri e operatori sanitari e arrivando a volontari, forze dell’ordine e addetti ai servizi essenziali: si apprezza fino in fondo la loro generosità? Il loro esempio riuscirà a scalfire i nostri cuori spesso indifferenti verso la sofferenza altrui?
Nel momento del bisogno gli italiani sanno dare il meglio.
La sanità pubblica, azzoppata dai tagli di bilancio di tutti i governi precedenti, reagisce con efficienza, spirito di missione, fino al sacrificio di oltre cento medici uccisi sul campo. Brilla per assenza e inefficienza la sanità privata che pure ha ricevuto cospicui benefici, a fondo evidentemente perduto. Dopo queste febbri nessun governo potrà osare ribassare il bilancio della sanità pubblica, mentre intanto anche quest’anno aumenterà la spesa del bilancio militare, l’ultima delle nostre necessità. Non sono interessato alla sensibilità cardiovascolare dei miei concittadini, mi importa la loro capacità di reazione civile di fronte agli sprechi e agli squilibri.
Con l’epidemia siamo stati costretti anche a non vedere i nostri amici…
Credo che i contatti con la cerchia delle persone importanti si siano intensificati. Ci si interessa di loro per motivi validi, per scambiarsi anche un momento di sollievo.
Credo che la socialità sia rafforzata, anziché repressa.
Il coronavirus ha portato via tanti anziani, amici, parenti, persone importanti nella nostra vita, ma alle quali, nel tran tran quotidiano dedicavamo poco tempo: ora ne abbiamo una struggente nostalgia. Impareremo qualcosa da tutto questo o, un domani, dimenticheremo e torneremo ai nostri egoismi, a voler far prevalere la nostra libertà su tutto e tutti?
Gli anziani relegati nelle cosiddette Residenze sono stati abbandonati a una discarica già prima dell’epidemia. Poi sono stati decimati e i numeri di quegli ospizi, laboratori di diffusione, sono ancora incerti.
Per me nonni e genitori devono abitare in famiglia e chiudere il loro viaggio tra mura e facce conosciute, anche se per qualche malanno non le riconoscono più. Un comandamento circa padre e madre non lascia dubbi ai figli sul da farsi.
Cosa resterà, secondo lei, di questi giorni, se e quando usciremo dall’incubo che stiamo vivendo?
Non ho doti profetiche. Resterà la speciale esperienza di uno stato di eccezione in cui gli economisti non avevano niente da dire e tutta l’autorità spettava ai medici.
L’esperienza della vita innanzitutto, prioritaria su qualunque tornaconto economico, lascerà ricordo di un’altra maniera di rispettare la comunità.