Combattere l’evasione fiscale

Il fenomeno dell’evasione (e del sommerso che è molto più ampio ancora) è il risultato di comportamenti diffusi e purtroppo consolidati

Combattere l’evasione fiscale

Secondo le più recenti stime ufficiali, contenute nella relazione elaborata da un’apposita commissione di esperti in vista della legge di bilancio, l’evasione fiscale in Italia vale 86,9 miliardi di euro. La relazione è stata pubblicata nello scorso settembre, ma i suoi dati sono relativi al 2020 perché tecnicamente il lavoro per avere stime affidabili è molto complesso e dipende anche dall’effettiva disponibilità dei numeri di partenza. Ci si riferisce quindi a una situazione sganciata dagli attuali equilibri politici e con varianti da tenere bene in considerazione (la pandemia, per esempio). Rispetto all’anno precedente il calo dell’evasione stimata è significativo: quasi 13 miliardi in meno, che si avvicinano ai 20 se il confronto è con quattro anni prima. Il che dimostra che le misure messe in campo per contrastare il fenomeno qualche risultato concreto lo hanno ottenuto. Non sono state inutili, come sostengono i “negazionisti” che imperversano anche in questo settore. Ma gli 86,9 miliardi restano comunque una somma enorme, pari al 5,3% dell’intero Prodotto interno lordo del Paese. Se si pensa alla fatica dei governi nel reperire ogni anno i fondi necessari alle manovre economiche – in ultima istanza finanziate prevalentemente con nuovo deficit – riuscire ad aggredire in modo efficace e sostanzioso la montagna dell’evasione potrebbe veramente rappresentare una svolta, per non parlare degli effetti complessivi sui conti pubblici. Non si tratta di un’operazione facile, beninteso, ma oggi le tecnologie offrono strumenti le cui potenzialità sono state finora soltanto testate. Diciamo allora che il problema è soprattutto culturale e politico. E’ sacrosanto far pagare finalmente tutte le tasse alle multinazionali, ma questo obiettivo non può essere utilizzato come un diversivo. Il fenomeno dell’evasione (e del sommerso che è molto più ampio ancora) è il risultato di comportamenti diffusi e purtroppo consolidati. Alessandro Santoro, uno dei maggiori esperti della materia nonché presidente della commissione di cui sopra, ha spiegato in un recente convegno che l’evasione ad alta intensità di autonomi e piccole imprese sottrae all’erario oltre 31 miliardi, mentre gli osservatòri internazionali calcolano in 7 miliardi i mancati ricavi dovuti agli stratagemmi delle multinazionali. Ma queste ultime non votano e quindi ad attaccarle non si paga dazio in termini di consenso, anzi.
Utilizzando come indicatore il tax gap, cioè la differenza tra le imposte incassate realmente e quelle che sarebbero dovute entrare in una situazione di perfetto adempimento, la tassa largamente più evasa è l’Irpef da lavoro autonomo con un divario del 69,7%. Il tax gap dell’Irpef da lavoro dipendente è del 2,4%. Che dire? Ha fatto bene il governo a proseguire sulla via, inaugurata dei precedenti esecutivi, della riduzione del cuneo fiscale per il lavoro subordinato, a cui ha destinato la maggior parte delle risorse della manovra. Ma si tratta di una misura ben lontana dal ripristinare un minimo di equità tra chi le tasse le paga tutte per contratto e chi le tasse può non pagarle. Anche perché nel contempo si moltiplicano i provvedimenti che denotano una sistematica premura per chi ha un contenzioso con lo Stato, fra concordati preventivi, paci e tregue, condoni e mezzi condoni. Un’esperienza ormai pluriennale dimostra che le imposte recuperate per questa via sono molto inferiori alle previsioni, mentre si indebolisce sempre più quel patto fiscale che implicitamente lega i cittadini nella prospettiva del bene comune.

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Fonte: Sir