Carceri, riduzione del sovraffollamento durante la pandemia

Le norme previste dal Dpcm dell’8 marzo hanno permesso di limitare i contagi: casi sintomatici in isolamento, colloqui telematici e limitazione dei permessi e della libertà vigilata. Il presidente della Società italiana di medicina e sanità nei penitenziari, Babudieri: “In questa nuova fase sono necessari test combinati di epatiti (HCV) e Covid”

Carceri, riduzione del sovraffollamento durante la pandemia

Durante l’emergenza sanitaria, nelle carceri si è ridotto il sovraffollamento: si è passati dal 20,3% al 6,6%, per l’assenza di arresti nel periodo del lockdown. Secondo la Società italiana di medicina e sanità nei penitenziari, in occasione del XXI Congresso nazionale “L’Agorà Penitenziaria 2020”, tra le conseguenze della pandemia emergono anche dati positivi. “Dopo le proteste iniziali e gli inevitabili timori che le carceri divenissero una polveriera - evidenzia il professor  Sergio Babudieri, direttore scientifico SIMSP-,  le norme previste dal DPCM dell’8 marzo per gli istituti penitenziari hanno consentito di limitare i contagi: i casi sintomatici dei nuovi ingressi sono stati posti in isolamento, i colloqui si sono tenuti in modalità telematica e sono stati limitati i permessi e la libertà vigilata”.

Dal rischio polveriere al calo dei detenuti

Nonostante le proteste iniziali e gli inevitabili timori, i casi di Covid -19 sono stati sporadici e non particolarmente critici. “Il tema cronico del sovraffollamento, che costituiva una minaccia proprio per una potenziale diffusione del virus, - prosegue Babudieri – è invece andato incontro a un notevole miglioramento: si è passati dal 20,3% al 6,6%, poiché non vi è stato il normale turn over dovuto all’assenza di arresti nel periodo del lockdown”.

In particolare, spiega ancora il professore, “al 31 gennaio 2020 nei 190 istituti penitenziari italiani vi era una capienza di 50.692 (dati ufficiali del Ministero della Giustizia) e 60971 detenuti presenti, con un surplus quindi di 10279, pari al 20,3%. Adesso a fronte di una capienza di 50574 posti letto, i detenuti effettivi sono 53921, con un sovraffollamento sceso a 3347, ossia il 6,6%, mostrando dunque un calo radicale. Questo però deve imporci controlli sempre più accurati, perché la popolazione ristretta è praticamente tutta suscettibile al Coronavirus ed in più in questo ambito sappiamo come sia cronicamente elevata la circolazione di altri virus, in particolare epatitici come HCV. Ne consegue che in questa nuova fase dell’epidemia Covid divenga mandatoria l’esecuzione dei test combinati HCV/COVID nei 190 Istituti Penitenziari Italiani”.

Il 50% dei detenuti presenta disagi psichici

Accanto alla pandemia, la salute mentale rappresenta un’altra emergenza sanitaria.  Depressione, ansia e disturbi del sonno, durante e dopo il lockdown, hanno accompagnato e stanno riguardando più del 41% degli italiani. Le persone rinchiuse nelle carceri costituiscono soggetti particolarmente vulnerabili: secondo dati noti, circa il 50% dei detenuti era già affetto da questo tipo di disagi prima della diffusione del virus. Erano frequenti dipendenza da sostanze psicoattive, disturbi nevrotici e reazioni di adattamento, disturbi alcol correlati, disturbi affettivi psicotici, disturbi della personalità e del comportamento, disturbi depressivi non psicotici, disturbi mentali organici senili e presenili, disturbi da spettro schizofrenico.

“Il problema psichiatrico o quantomeno quello del disagio mentale è diventato una delle questioni più gravi del sistema penitenziario italiano – sottolinea il Presidente Simspe Luciano Lucanìa –. È evidente come la pandemia e soprattutto i primi mesi abbiano reso queste problematiche ancora più evidenti. Nelle ultime settimane la situazione è diventata ancora più complessa. Non esistono soluzioni pronte e preconfezionate, ma noi di Simspe crediamo che sia necessario per gli operatori, per la comunità carceraria, per i decisori politici, far presente limiti, problemi, prospettive e chiedere soluzioni. Da una parte si devono integrare i servizi del territorio e i servizi del carcere, dall’altra serve un sistema carcerario che sia in grado di affrontare autonomamente questo tipo di problemi”.

Il ruolo essenziale degli infermieri

Secondo la Società italiana di medicina e sanità nei penitenziari, inoltre, gli infermieri non sono sufficientemente valorizzati.  Si tratta di figure chiave perché insigniti di una responsabilità che va oltre quella sanitaria, poiché coinvolge la sicurezza personale di tutti coloro che lavorano in carcere. Da una parte, infatti, lavorano in equipe con i medici, dall’altra, hanno rapporti anche con altre figure, come gli educatori, toccando così anche gli aspetti sociali oltre a quelle sanitari.

“Come gruppo infermieristico di Simspe stiamo sviluppando diverse ricerche che permettano di valorizzare la figura dell’infermiere e di ottimizzarne il contributo – spiega  Luca Amedeo Meani, Vice Presidente Simpspe – . Uno studio riguarda l’azione del Covid sull’operatività dell’infermiere: il Moral Distress (Disagio Morale) degli infermieri era preoccupante e si è aggravato in questi mesi. I dati emersi mostrano un livello molto elevato rispetto ai parametri mediani di valutazione e spesso coinvolgono ragazzi che avevano solo tre o quattro anni di esperienza in servizio. Da qualche settimana stiamo integrando lo studio con item che riguardano il Covid. In secondo luogo, stiamo portando avanti anche un’analisi che riguarda la gestione Rischio Clinico, che permette di determinare in modo scientifico quali potrebbero essere le misure correttive per abbassare i rischi da un livello potenzialmente elevato a uno standard accettabile. Questo lavoro del Gruppo infermieristico Simspe è iniziato prima della pandemia e ha aiutato molto nella prevenzione del Covid: l’assenza di casi gravi e il mancato diffondersi della pandemia in questi ambienti è stato anche grazie a questo sistema di prevenzione e di analisi del rischio”. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)