Carcere, lockdown e volontariato. Anastasìa: “Importante ripartire subito”
Il coordinatore dei Garanti regionali fa il punto della situazione e auspica una ripresa in tempi brevi e in sicurezza delle attività trattamentali affidate a volontari e operatori esterni, “mantenendo le conquiste in fatto di comunicazioni digitali”
Attività trattamentali, corsi scolastici, sostegno individuale e sociale, incontri culturali: anche il carcere sta uscendo dal lockdown. Ma qual è oggi la situazione negli istituti penitenziari italiani in relazione a tutte le attività gestite dal volontariato e che spesso fanno la differenza nella qualità della vita dietro le sbarre? Stefano Anastasìa, coordinatore dei Garanti regionali e Garante di Umbria e Lazio, fa il punto della situazione per Redattore Sociale tra chiusure, proposte e nuovi orientamenti dettati dalle emergenze interne.
Dott. Anastasìa, qual è oggi la situazione nelle carceri?
Purtroppo la gran parte delle attività trattamentali, culturali o di sostegno individuale e sociale sono sospese e ancora senza una ipotesi di data per la ripresa. Ha fatto eccezione, non dappertutto purtroppo, la didattica a distanza per i detenuti a fine ciclo scolastico che, dovendo preparare gli esami, almeno nelle scorse settimane hanno potuto avere relazioni dirette con i loro insegnanti. A distanza sono riprese anche alcune attività teatrali, come quella di Rebibbia Nuovo complesso. In presenza, invece, sono generalmente proseguite le lavorazioni per conto terzi, come nel caso del laboratorio di pasticceria di Padova e altri simili: tra poco, ad esempio, dovrebbe aprire il laboratorio tessile di Perugia. Di questi giorni, invece, le prime timide riaperture, come a Cassino, dove il direttore ha consentito il rientro dello sportello di informazione legale e sostegno allo studio dei detenuti iscritti all’università.
Lo stop agli ingressi di volontari e operatori esterni dettato dall'emergenza si può considerare superato?
Anche in carcere è finito il lockdown. La ripresa dei colloqui con i familiari, seppure con tutte le precauzioni del caso, e forse anche con qualcuna di troppo, ne è stata la sanzione. Dal 19 di maggio gli istituti penitenziari non sono più chiusi all’ingresso di persone dall’esterno, anche se in realtà non lo sono mai stati completamente, posto che il personale penitenziario e quello sanitario, necessariamente, ha continuato ad accedere dall’esterno anche nei momenti più difficili. Questo ha aperto il problema della ripresa di attività essenziali per la vita quotidiana dei detenuti e per il rispetto della finalità rieducativa della pena che sono assicurate dal volontariato e da enti esterni all’amministrazione penitenziaria. Nella gran parte degli Istituti si aspettano indicazioni, se non dalla direzione generale dei detenuti, almeno dai provveditorati. E noi Garanti territoriali, d’intesa anche con il Garante nazionale, abbiamo raccolto l’istanza della Conferenza nazionale volontariato giustizia per verificare regione per regione tempi e modi per la riapertura ai volontari e agli operatori esterni. Il 30 giugno scade la disciplina provvisoria dei colloqui con i familiari stabilita con il decreto del 10 maggio scorso. Se sarà confermata, non potrà non portare con sé la riapertura degli istituti al mondo esterno. Con tutte le cautele del caso, ma le carceri non possono restare chiuse per tutta l’estate.
In che modo è possibile riattivare i corsi e la frequentazione dei volontari e con quali misure di sicurezza?
La Conferenza nazionale volontariato giustizia ha elaborato un documento che riprende le indicazioni già operative per le imprese che hanno continuato a mandare avanti le lavorazioni in carcere durante il lockdown. Si tratta di indicazioni ragionevoli che corrispondono alle norme di prevenzione indicate dalle autorità sanitarie a livello nazionale per i luoghi di lavoro e/o di convivenza: dal rispetto della distanza di sicurezza all’uso dei dispositivi di protezione individuale, dalla ripetuta igienizzazione dei locali fino all’adozione di misure straordinarie come quelle della separazione tramite plexigas. Poi, certo, c’è anche la possibilità di continuare alcune attività a distanza. L’emergenza della pandemia ha fatto finalmente cadere il tabù penitenziario nei confronti delle tecnologie della comunicazione digitale, facendo vivere nuove emozioni a tanti detenuti che, dopo anni, hanno potuto rivedere in uno smartphone parenti lontani o i propri ambienti domestici. Questo è un risultato da cui non si deve tornare indietro, consolidando e regolamentando in maniera avanzata le modalità di accesso alla rete, alla posta elettronica e alla video-comunicazione. Le tecnologie della comunicazione possono essere molto utili in questa fase ibrida di convivenza con il virus, ma non possono sostituire il rapporto diretto e la presenza in carcere di operatori volontari. Lo sappiamo, lo abbiamo vissuto tutti quanti tutti i giorni: le tecnologie digitali sono una grande opportunità se si affiancano alle relazioni in presenza. Se le sostituiscono sono un dimezzamento della nostra esperienza umana, necessaria in un momento di massima emergenza, inaccettabile oltre.
Perché è così importante far ripartire l’attività del volontariato?
Chi conosce il carcere sa che esso affida le sue possibilità di rispondere ai principi costituzionali in materia di privazione della libertà ed esecuzione della pena al contributo che viene da altri soggetti, istituzionali e non. Non c’è tutela della salute senza il servizio sanitario nazionale, non c’è rieducazione senza l’offerta di istruzione di scuole e università, ma, soprattutto, non ci sono sostegno sociale, offerta culturale e programmi di reinserimento senza il volontariato e il terzo settore. Un carcere che resti chiuso a queste presenze è un carcere che torna a prima della riforma e della Costituzione, un carcere intollerabile e inaccettabile. Ma questo lo sanno benissimo i dirigenti e il personale dell’amministrazione che aspettano il ritorno del volontariato in carcere per poter fare meglio il proprio mestiere.
Teresa Valiani