Autismo. Stellino (Angsa Lazio): “Servono una presa in carico a 360° e una formazione di qualità per operatori e insegnanti”
Nicole, 18 anni, e il fratello Daniel, 14, soffrono di disturbi dello spettro autistico. La mamma Stefania Stellino, presidente di Angsa Lazio e membro del Consiglio direttivo della Federazione nazionale, si batte da 15 anni per i diritti delle persone autistiche. Due, in particolare, gli obiettivi da raggiungere: una presa in carico adeguata per un "progetto di vita" a 360°, e una formazione di qualità per operatori e insegnanti. Ecco la sua testimonianza
“Nicole ha 18 anni e Daniel 14, e sono la perfetta espressione dello spettro autistico. Nicole, infatti, pur partita da un autismo problematico ha raggiunto un certo livello di consapevolezza, parla e, come si dice in maniera impropria, ha un buon ‘funzionamento’. Daniel ha invece una compromissione intellettiva importante”. Inizia da qui la testimonianza al Sir della mamma Stefania Stellino, presidente di Angsa Lazio (Associazione nazionale genitori di persone con autismo) e membro del Consiglio direttivo della Federazione nazionale. In Italia non esistono dati certi sui numeri di persone con autismo, ma si stima possano essere 600/700mila. Negli Usa si parla di una persona su 54. Daniel non parla e ha bisogno di essere supportato anche a livello farmacologico. “Il suo – prosegue Stefania – è un autismo severo. Spesso esprime il disagio nei confronti della sua difficoltà di comunicazione attraverso l’aggressività, a volte con la violenza imponendosi dal punto di vista fisico”. È un ragazzone alto più di 1 metro e 80, di oltre 100 chili, e
Stefania racconta di giornate molto impegnative che iniziano alle sei del mattino “quando va bene, perché a volte Daniel durante la notte si sveglia”.
Oltre a lei e al marito infermiere, si alternano cinque operatori domiciliari. “Occorre limitargli anche l’apporto di cibo. Fortunatamente – dice – oggi riusciamo a farci riaprire la piscina almeno per lui. La chiusura dello scorso ottobre lo ha privato di un importante punto di riferimento”. Nel suo Pei (Piano educativo individualizzato, documento che contiene la progettazione individualizzata per ogni alunno con disabilità al fine di garantire l’inclusione scolastica, ndr), la piscina è inserita come attività. “Con lui stiamo lavorando sulle autonomie”, spiega la mamma. Si fa geografia “sperimentando la conoscenza del territorio”, e storia attraverso la sequenza delle azioni compiute ogni giorno. “A Daniel piace andare in piscina, ci vorrebbe andare non solo tre volte a settimana, ma tutti i giorni”, al punto che a volte va a scuola con il costume che, spiega Stefania, “per lui è una comfort zone, un elemento di rassicurazione”.
A scuola com’è inserito? “Ha il suo spazio, nel quale ‘entrano’ gli altri. Sono gli altri ad andare da lui. Si creano piccoli gruppi per attività artistiche o legate alla matematica. Daniel non parla, ma individua le immagini e sa contare fino a 10”. Mentre Nicole, che frequenta il liceo artistico sta studiando con la Dad, Daniel va a scuola.
“Il primo lockdown è stato faticosissimo, non trovo parole adatte per descriverlo”,
racconta la mamma. “Daniel non stava male a casa, ma trascorreva tutta la giornata con l’Ipad. E’ stata durissima: non si poteva uscire, gli operatori non potevano venire, ha dovuto interrompere la piscina. Per una persona con autismo la routine giornaliera è fondamentale; ogni cambiamento è destabilizzante. Le cose sono un po’ migliorate quando gli operatori hanno iniziato a tornare”. Ma c’è un problema: Daniel non riesce a portare la mascherina ed è stato difficile fargli accettare che genitori e operatori la indossassero. “Alla fine – dice la mamma – si è arreso, anche se non ho idea di quello che lui possa cogliere.
A 14 anni ha l’età mentale di un bambino di poco più di 20 mesi”.
Il 31 marzo Nicole e Stefania sono andate all’ospedale pediatrico Bambino Gesù per la seconda dose di vaccino anti Covid. Un traguardo importante, quello delle vaccinazioni alle persone con severe disabilità intellettive e ai loro caregiver, per il quale Stefania, in qualità di presidente Angsa Lazio, si è battuta: “In regione siamo stati i primi ad essere vaccinati lo scorso 10 marzo. Dobbiamo proteggere Daniel che non è in età vaccinale, tocca tutto e si mette tutto in bocca come un bambino piccolo. Ma come lui ce ne sono moltissimi”.
Stefania parla con voce squillante ed è forte e determinata come solo una mamma sa esserlo.
“La mia forza risiede nel ‘fare qualcosa per’.
Sono impegnata nell’associazionismo da 15 anni, e sono 15 anni che combatto per tutelare i diritti di tutti. Mi occupo di formazione, sono attiva presso il ministero dell’Istruzione e nell’Osservatorio per l’inclusione scolastica. Ho messo mano anche ai nuovi modelli Pei.
Questo è il prezzo che mi sono ‘concessa’ in cambio di quello che la vita mi ha tolto.
La mia filosofia è il bicchiere mezzo pieno: penso a chi ha figli paraplegici o a chi ha perduto un figlio, e anziché lamentarmi per quello che non ho preferisco impegnarmi per costruire. E’ troppo facile piangersi addosso: dobbiamo essere propositivi e tentare di far valere i nostri spazi e i nostri diritti”.
Quali sono le priorità? “Si parla tanto di diagnosi precoce – risponde –, ma il problema è che manca il passaggio successivo, quello della presa in carico da parte delle Asl, del Ssn e dello Stato.La famiglia, una volta ricevuta la diagnosi, deve poter entrare in una rete di servizi che la ponga al centro, insieme al figlio/a, costruendo giorno dopo giorno un percorso di terapia e di vita che comprenda terapie, scuola e tempo libero.Il progetto di vita è fondamentale, ma purtroppo su questo non si lavora. L’art. 14 della legge 328 riconosce il diritto al progetto individuale per la realizzazione della piena ‘integrazione delle persone disabili’; invece si fanno progetti spot e non si investe in qualcosa di stabile. Stabilizzare un progetto, che deve essere cucito su ogni singola persona, garantirebbe efficacia e un’ottimizzazione delle risorse umane ed economiche”.Ulteriore priorità la qualità della formazione degli insegnanti e degli operatori.
“Dall’autismo – conclude Stefania – non si guarisce, però si può migliorare, e molto, ma solo se chi lavora con i ragazzi ha le competenze necessarie. L’Aba (Applied Behavioral Analysis, ndr) offre la base, ma occorre essere in grado di analizzare ogni singola persona e le sue esigenze per poter estrarre dalla cassetta degli attrezzi gli strumenti più adatti”.