Autismo, “cosa fare (e non)": ecco il decalogo di Erickson
La guida di Marco Pontis per gli insegnanti di scuola primaria aiuta a comprendere i bambini con autismo e relazionarsi con loro in modo adeguato. Tra le indicazioni suggerite, “trovare tutti i possibili punti di forza e sfruttarli per aumentare la motivazione e il senso di autoefficienza del bambino”
Conoscere per capire. E per relazionarsi meglio: è questo l'obiettivo del “decalogo” sull'autismo, contenuto nel volume “Autismo, cosa fare (e non). Guida rapida per insegnanti di scuola primaria”, di Marco Pontis (Università di Bolzano) per le edizioni Erickson. “Perché i bambini con autismo hanno comportamenti problematici – si legge - ma non sono bambini problematici”. Per questo, occorre innanzitutto spazzare via i più diffusi luoghi comuni. E' vero: il bambino evita il contatto visivo, preferisce stare solo, fatica a mettersi nei panni degli altri, infrange le regole della conversazione, non comprende l’umorismo, ripete parole e frasi, ha interessi ristretti o assorbenti, segue rituali ripetitivi e rigidi, fatica ad affrontare i cambiamenti, compie movimenti stereotipati, non si separa da alcuni oggetti. Ma perché fa così?
Marco Pontis, docente presso l’Università di Bolzano, con un’esperienza quasi ventennale nella relazione con persone con disturbo dello spettro dell’autismo, spiega in pochi sintetici punti il motivo di comportamenti, modalità di interazione sociale e di comunicazione, passando poi a fornire indicazioni semplici e chiare su cosa fare e cosa non fare, al fine di valorizzare le differenze e aumentare notevolmente le possibilità di comprensione e il piacere di partecipare attivamente: non solo dei bambini con autismo, ma anche di tanti altri compagni e delle persone che stanno loro intorno. Nella consapevolezza che ogni situazione va analizzata attentamente nella sua singolarità: non c’è una soluzione valida per ogni bambino.
Ed ecco, in breve, un decalogo di consigli e informazioni:
1. I bambini autistici provano tantissime emozioni: spesso le percepiscono, le elaborano e le gestiscono in modo estremamente differente dalle persone neurotipiche.
2. I disturbi dello spettro autistico non sono causati da uno scarso affetto da parte dei genitori del bambino, ma hanno un’origine neurobiologica.
3. L’autismo non passa con l’età: è una condizione che comporta un funzionamento cerebrale “neurodiverso”, che dura tutta la vita e di cui molte persone autistiche vanno assolutamente fiere.
4. Per aiutare un bambino autistico serve indubbiamente tanto amore, ma questo da solo non basta: sono altrettanto fondamentali le competenze specifiche e il lavoro di rete.
5. Anche le persone “a sviluppo tipico” devono cercare di compiere degli sforzi per "mettersi nei panni" delle persone neurodiverse, non solo il contrario.
6. Non tutte le persone autistiche sono dei geni o dei fenomeni. La maggior parte delle persone con disturbi dello spettro autistico presenta delle significative difficoltà cognitive, comunicative e relazionali che spesso rendono difficile la vita in totale autonomia.
7. I comportamenti di un bambino con disturbi dello spettro autistico non vanno considerati “patologici” solo perché ha una diagnosi: spesso le persone neurotipiche non riescono a comprenderne alcuni comportamenti che possono sembrare in qualche modo “sbagliati” o “da modificare”, ma in realtà non lo sono affatto. Valutare attentamente quali comportamenti si vuole cercare di ridurre o eliminare e se è davvero il caso di farlo.
8. Farsi aiutare a comprendere il funzionamento neurodiverso guardando le interviste o leggendo le tante esperienze e testimonianze di persone con autismo, oggi ampiamente disponibili.
9. Trovare tutti i possibili punti di forza e sfruttarli per aumentare la motivazione e il senso di autoefficienza del bambino: i bambini con autismo sono una risorsa per tutti i loro compagni di classe e spesso le soluzioni educative e didattiche adottate dai docenti per venire incontro ai loro bisogni speciali risultano molto utili anche ai compagni a sviluppo tipico.
10. I bambini autistici non sono “rinchiusi in una bolla”: a volte però, a causa di un sistema percettivo estremamente particolare e sensibile, hanno bisogno di ridurre al minimo gli input sensoriali.