Alzheimer, "il costo della malattia pesa sulle famiglie"

Dalle case della comunità alla  creazione di un 'assistenza domiciliare dedicata:  le priorità di Aima e Sin in “7 buoni motivi e 7 buone proposte per non dimenticare l’Alzheimer”. Costi per 15,6 miliardi,  l’80% in capo alle famiglie

Alzheimer, "il costo della malattia pesa sulle famiglie"

“Grazie alla ricerca, nel prossimo futuro potrebbe essere possibile cambiare il corso della malattia di Alzheimer partendo dalle sue primissime fasi caratterizzate da un decadimento cognitivo lieve. Questa nuova prospettiva investe la dimensione organizzativa e le dotazioni strutturali del Ssn”. È questa la prima delle “7 buone proposte per non dimenticare l’Alzheimer” presentata oggi, in occasione della Giornata mondiale Alzheimer da Aima - Associazione italiana malattia di Alzheimer e Società Italiana di Neurologia (Sin). 

Le 7 proposte

Insieme all’appello per un piano di interventi strutturali per colmare le lacune del sistema sanitario italiano, il documento evidenzia altre direttrici di lavoro future. In primo luogo, spiegano le associazioni, andrà colta l’occasione delle Case della comunità previste nel Pnrr, affinché "siano adeguatamente organizzate per includere anche Centri per i disturbi cognitivi e le demenze, valorizzando il contributo multidisciplinare di specialisti (medici e professionisti sanitari), medici di medicina generale e assistenti sociali". Il documento auspica che gli ospedali di comunità "possano essere pienamente coinvolti per dare risposte a livello territoriale alle esigenze specifiche dei pazienti Alzheimer", così come gli infermieri di famiglia e di comunità, "figure indispensabili nelle situazioni di maggiore fragilità sociale". Le organizzazioni ritengo poi importante la creazione di un assistenza domiciliare integrata dedicata all'Alzheimer, da sviluppare coerentemente con gli obiettivi del Pnrr, "per portare alle famiglie competenze specialistiche multidisciplinari nonché attività riabilitative, psico-educazionali e di sostegno, anche in digitale". Infine, ricordano che "l’Italia non è ancora allineata rispetto al quadro normativo di altri paesi europei che riconoscono il ruolo del caregiver anche attraverso specifiche tutele". In questa direzione va la proposta di rafforzare la formazione dei caregiver professionali e il sostegno al caregiver familiare, "provvedimenti indispensabili, considerata la complessità della gestione della persona con malattia di Alzheimer che richiede competenze che le famiglie imparano sul campo".

I 7 buoni motivi

Ai 7 buoni motivi si affiancano quindi le 7 “buone” proposte per far sì che la sanità italiana tenga conto delle esigenze di oggi e di domani: territorio, prossimità, sostegno ai caregiver e investimenti, queste le priorità per cui lavorare intensamente nel prossimo futuro. In Italia si stimano oggi circa 1.200.000 casi di demenza, di cui circa 700.000 di malattia di Alzheimer. Le proiezioni, da qui ai prossimi decenni, vedranno un incremento notevole della prevalenza soprattutto per via del processo di invecchiamento della popolazione italiana. L’Alzheimer è la terza causa di morte tra gli over 65 in Europa occidentale e una delle principali cause di disabilità nella popolazione over 60 a livello mondiale, ricordano le organizzazioni. "L’Italia è il secondo paese più vecchio al mondo (con il 63% di over 65enni), è più interessata di altri Paesi a una strategia specifica che preveda un piano di investimenti per la gestione dell’anziano e del suo stato di salute. - si legge - Con oltre il 50% di famiglie unipersonali dovrà prepararsi al sostegno della risorsa-famiglia, dove presente, e attrezzare servizi per quella domanda che non potrà beneficiare della cura informale delle famiglie".

"Ingente il peso della malattia sulle donne"

Tra i 3 caregiver che secondo le stime in ogni nucleo familiare si fanno carico dell’assistenza al malato, la maggioranza sono donne e sostengono il carico maggiore del lavoro di cura, con conseguenze sociali importanti.
Le donne sono inoltre anche in media più colpite dalla patologia. "La disparità di trattamenti a livello regionale e l’assenza di un monitoraggio stabile e costante degli esiti sulla salute delle persone affette da malattia di Alzheimer rendono l’offerta e i modelli di cura non solo diversi, ma anche vettori di opportunità differenziate a fronte del medesimo bisogno", spiegano le due associazioni. In questo quadro, "il costo della malattia è oggigiorno in capo alle famiglie". E, "se i costi attribuiti alla malattia sono 15,6 miliardi, quelli sostenuti dalle famiglie sono circa l’80%". "Le nuove terapie, se confermate nei benefici clinici, cambieranno il decorso della malattia per un significativo numero di persone con sintomi lievissimi e/o in stadi molto precoci", sottolineano i promotori. Agli attuali modelli di cura dovranno associarsene di nuovi, capaci di selezionare le popolazioni a rischio indirizzandole all’iter diagnostico appropriato e seguendole in quello terapeutico. Infine, il documento pone l’accento sulla dimensione etica legata alla malattia: "Dimenticare di investire sull’Alzheimer è come perdere memoria della propria storia e delle proprie origini, perché il sistema delle cure deve tutelare la fragilità e promuovere la cultura del rispetto".

“Dobbiamo pensare ai malati di oggi e a quelli di domani, che avranno esigenze diverse. sottolinea Patrizia Spadin, presidente di Aima - I malati di oggi hanno bisogno di servizi più adeguati che colmino anche la incredibile disparità di trattamento tra i diversi sistemi regionali -  Ci sono poi i malati di domani, per loro si intravede finalmente una luce in fondo al tunnel grazie alle diagnosi precoce. Il sistema sanitario deve però attrezzarsi ad accogliere un numero sempre di più grande di pazienti per capire quali potranno essere quelli eleggibili per le nuove terapie. Sarebbe assurdo farci trovare impreparati da un futuro che aspettiamo da tanto tempo e che oggi sentiamo così vicino”.

“Per la prima volta si affacciano all’orizzonte dei possibili farmaci che potrebbero cambiare lo scenario. Il problema che dobbiamo affrontare oggi riguarda innanzitutto l’identificazione di chi può eventualmente essere affidato alle nuove terapie. - sottolinea Gioacchino Tedeschi, Presidente Società Italiana di Neurologia e Direttore Clinica Neurologica e Neurofisiopatologia, Aou Università della Campania Luigi Vanvitelli” di Napoli. - Queste terapie hanno infatti dimostrato di essere più efficaci nel decadimento cognitivo lieve in persone che hanno presenza di amiloide nel cervello. Se è vero che la malattia è molto diffusa, non sappiamo esattamente quante persone presentano un decadimento degenerativo lieve, è quindi necessario un importante lavoro di diagnosi differenziale. Fino a quando non avremo i marcatori nel sangue periferico il lavoro sarà molto complesso, l’amiloide può essere documentata infatti da una Pet o dall’esame del liquor. È chiaro che sarà necessaria una riorganizzazione del sistema che preveda una interazione più stretta con il territorio, dai medici di medicina generale ai centri in grado di fare la diagnosi, tutto questo per selezionare all’interno di una grande platea, che valutiamo dai 100 a 300mila individui, le persone che potrebbero avvalersi delle nuove terapie”.

La diagnosi precoce è necessaria perché la malattia non inizia quando compaiono i primi sintomi, ma molti anni prima ed è un processo lento. Intervenire prima possibile su alcuni fattori di rischio come ad esempio l’obesità eccessiva, la sedentarietà, la carenza di attività cognitiva, il cattivo controllo della pressione arteriosa o il diabete non controllato, ci consente già oggi di rallentare in modo significativo la comparsa dei sintomi allungando il periodo di piena o parziale autonomia dei pazienti. Ecco perché un progetto come Interceptor non solo sarà importante in futuro, quando potremo avere a disposizione dei farmaci, ma è importante già oggi, perché ci permette di intercettare subito i soggetti che sono di fatto già ammalati” ha dichiarato Paolo Maria Rossini, Direttore del Dipartimento di neuroscienze-neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele Roma e Coordinatore progetto nazionale Interceptor finanziato da Aifa e Ministero della Salute.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)