Alunna autistica maltrattata, due arresti. Ciis: “Tutti i docenti sono responsabili”
Il commento del Coordinamento insegnanti di sostegno sui fatti di Tolentino: “Nessuna giustificazione per quanto accaduto, ma va ricordato che gli alunni con disabilità sono affidati a tutti i docenti della classe e quindi tutti ne sono responsabili. Formazione, condivisione, corresponsabilità, coprogettazione e inclusione sono le parole-chiave per fare in modo che fatti del genere non possano più accadere”
Non solo insulti e umiliazioni, ma percosse e addirittura bottigliate: sono i “maltrattamenti pluriaggravati” che hanno portato agli arresti domiciliari un'insegnante di sostegno e un'assistente, al termine di indagini condotte dai carabinieri di Macerata e Tolentino. Vittima la ragazza autistica che era stata loro affidata e di cui avrebbero dovuto favorire l'inclusione. Ma d'inclusione, non c'era traccia, dal momento che l'alunna, anziché stare con i propri compagni in classe, veniva regolarmente condotta in un'altra stanza, dove restava sola con la docente di sostegno e l'assistente e da queste non solo trascurata, ma spesso maltrattata, come hanno rivelato le intercettazioni e le indagini, scattate dopo la segnalazione arrivata ai carabinieri da un'insegnate e la dirigenza della scuola.
Un episodio che fa indignare tutti e che tocca particolarmente chi ogni giorno lavora al fianco di questi ragazzi. Come Evelina Chiocca, presidente del Ciis (Coordinamento italiano insegnanti di sostegno), al quale Redattore Sociale ha chiesto di commentare la vicenda.
“Notizie come queste disorientano e sorprendono sempre: comportamenti gravissimi e non accettabili, che non dovrebbero proprio verificarsi nelle nostre scuole, luoghi deputati all’educazione, alla formazione, allo sviluppo di una cultura del rispetto, dell’accoglienza e della condivisione. Niente dunque giustifica quanto descritto in quell’articolo, proprio nulla. Ma una precisazione va fatta: l'alunna è stata affidata a tutti i docenti della classe, non a qualcuno in particolare. Quindi tutti sono responsabili dell’alunna”.
Dal vostro punto di vista, cosa si potrebbe fare per assicurare che chi fa questo (difficile) lavoro sia adeguatamente selezionato, formato, sostenuto?
Innanzitutto, servono formazione, cultura dell’inclusione e lavoro di rete. La formazione di tutto il personale docente non è più in alcun modo derogabile. Non si tratta di una spolverata di ore 'una tantum', ma di una formazione seria in ingresso e di aggiornamento in servizio. In altre parole: se non si possiedono le competenze per lavorare con ogni alunno della classe, non si entra nella scuola dell’inclusione. Se qualcuno pensa di 'non sentirsela' di lavorare anche con gli alunni con disabilità, allora che trovi un'altra attività lavorativa, perché nella scuola dell’inclusione, in classe, ci sono alunni con disabilità e hanno gli stessi diritti dei loro compagni: primo fra tutti, il diritto a fruire della formazione che la scuola assicura a tutti. Non si può infatti pensare che in una classe si crei la classe degli “espulsi”: non è accettabile, non nella scuola dell’inclusione. In altre parole servono “professionalità competenti” sotto il profilo psicopedagogico-didattico. Fin quando sussisterà una formazione separata tra docente specializzato e docente non specializzato, finché si accetterà, sotto il profilo culturale, che l’alunno con disabilità appartiene all’insegnante incaricato su posto di sostegno, finché si continuerà a perpetrare la delega al solo docente di sostegno, finché verrà accettato il comportamento di “deresponsabilizzazione” di alcuni (non di tutti) i docenti curricolari, finché continuerà a persistere la profonda (e illogica) distorsione (anche dal punto di vista professionale e contrattuale) che non si possono obbligare gli insegnanti a lavorare con gli alunni con disabilità perché “non tutti se la sentono”, finché si guarderà all’alunno con disabilità come “problema”, come “deficit”, come colui che non ce la fa, che resta indietro, che deve essere sempre “coperto” (e, in altre parole, allontanato dai suoi compagni), finché, in altre parole non cambieranno l’impostazione culturale e la formazione, vedo ben poche prospettive. Se l’alunno con disabilità apprende e migliora, non è merito di una sola persona, ma di tutti i docenti della classe; se l’alunno con disabilità non migliora, non è colpa di una sola persona ma di tutti i docenti della classe. Bisogna quindi uscire dalla falsa convinzione che “una sola persona” assolva un compito possibile solo grazie a un lavoro coordinato di rete, di condivisione, di collaborazione, di corresponsabilità, che coinvolge co-protagonisti e co-attori tutti i docenti della classe e i genitori, in particolare, i compagni e le compagne della classe ed altre eventuali figure (assistenti, specialisti).
Cosa bisogna fare, dall'altro lato, per garantire che questi bambini e ragazzi ricevano un servizio capace di rispondere alle loro esigenze?
Chiaramente posso fare riferimento solamente a quanto è scritto dal quotidiano e, in relazione a ciò, mi chiedo quanto la scuola sia pronta a svolgere il suo ruolo “di istruzione e di educazione”; quanto investe, in termini di tempo, di energia, di impegno professionale, nell’attuare “linee di intervento educativo” condivise e concordate con la famiglia e con gli specialisti. Insieme si possono raggiungere cambiamenti significativi per la persona, per migliorare la qualità della vita e impostare il progetto di vita, sostenendo e promuovendo concretamente la cultura dell’inclusione. Ma se si pensa che la scuola sia il luogo dove far trascorrere alcune ore o dove si attende che suoni la campanella, qualcosa – va detto – non funziona. Siamo, cioè, fuori strada. Noi indichiamo allora cinque parole-chiave: primo, formazione, che assicuri ad ogni classe (o sezione della scuola dell’infanzia) docenti professionalmente competenti; secondo, condivisione reale: da questo punto di vista, sono molto preoccupata. Preoccupa il fatto che, nel Glo, i genitori sono soggetti che 'partecipano ai lavori' e non 'componenti' che 'elaborano e approvano'. Questa, infatti, è la nuova impostazione introdotta dal 182/2020, in vigore. La terza parola-chiave è corresponsabilità e responsabilità individuale, che interessano e coinvolgono ogni insegnante della classe e che, proprio perché tali, non ammettono deleghe, e neppure microespulsioni. La quarta è co-progettazione del percorso formativo: una pianificazione reale, chiara, ben delineata, che parta dalle capacità e dalle potenzialità dell’alunno e che non insista, come ahimé continua ad accadere, sulle difficoltà, sui deficit, su ciò che non c’è. Infine, fondamentale è il rispetto dell’unicità della persona, che rimanda ad un concreto slancio della cultura dell’inclusione. Investire nella scuola dell’inclusione: questo dovrebbe animare chi prende le decisioni. Ma richiede responsabilità, coerenza, impegno. Richiede anche credere nella persona in quanto tale. Richiede riconoscimento e rispetto della dignità del singolo. Abbiamo le potenzialità per attuare tutto ciò. Percorriamo, quindi, questa via. Solo così, la scuola diventerà una scuola dell'inclusione, in cui non ci sia spazio per insegnanti incompetenti, irresponsabili e tanto meno violenti.
Chiara Ludovisi