Afghanistan: Bertolotti (Start Insight), “nuovo governo tra precari equilibri di potere e la pretesa di sostegno della comunità internazionale”
Un governo provvisorio “composto esclusivamente da uomini – il che non sorprende – molti appartenenti alla vecchia guardia, già al governo dal 1996 al 2001, e veterani della guerra ventennale contro gli Stati Uniti e la Nato”.
Una composizione di governo che, nelle posizioni apicali, “tutelerebbe gli equilibri tra la vecchia guardia (Baradar-Hassan) e la nuova generazione (Haqqani-Yaqoob)”. Così Claudio Bertolotti, direttore esecutivo di Start InSight, società di ricerca e analisi strategica, tra i massimi esperti di Afghanistan, commenta la nascita del nuovo governo provvisorio talebano che si insedierà l’11 settembre, a vent’anni esatti dai tragici eventi che portarono alla guerra in Afghanistan. In un articolo pubblicato sul sito www.startinsight.eu, l’analista afferma che le scelte fatte dai talebani “renderebbero difficile un riconoscimento internazionale, quale necessaria premessa a un’apertura dei canali finanziari che eviterebbe (o posticiperebbe) un tracollo economico”.
Tracollo economico a cui “i talebani guardano con grande preoccupazione e che, senza pudore, pretendono sia evitato dalla comunità internazionale alla quale chiedono, attraverso la voce di Alhaj Khalil-ur-Rehman, il capo del consiglio di pace talebano, che vengano sbloccati i 10 miliardi di dollari, congelati dagli Stati Uniti dopo la caduta della Repubblica islamica dell’Afghanistan, e che siano rispettati gli impegni a sostenere economicamente il Paese sino a tutto il 2024”. Secondo Bertolotti “la composizione del governo ad interim dell’Emirato islamico rispecchia gli equilibri di potere della galassia talebana e ne evidenzia la natura teocratica e la composizione tribale, poiché le nomine più importanti sono state riservate a ‘religiosi’ (mullah) appartenenti alle tribù pashtun Durrani e Ghilzai mentre è assente una rappresentanza significativa degli altri gruppi etno-politici dell’Afghanistan: tagiki, uzbeki e hazara in particolare.
Due i rappresentanti dell’etnia tagika e un solo uzbeko”. Si tratta, sostiene l’analista, di “una scelta che contrasta con l’auspicata inclusività e con la stessa composizione etnica della popolazione afghana, composta al 65% da non pashtun, in maggioranza tagiki, hazara, uzbeki, turkmeni, aimaqi”. Un fatto, questo, che “creerebbe ulteriore distanza tra i numerosi gruppi componenti la galassia talebana, in particolare i talebani tagiki e uzbeki del nord che hanno combattuto per i talebani e che potrebbero pretendere una maggiore rappresentanza a livello governativo e istituzionale”.
E se, da un lato, “sono esclusi anche i liberali pashtun”, dall’altro lato, evidenzia Bertolotti, “molti tra i futuri ministri e sottosegretari sono presenti nelle liste dei maggiori ricercati dagli Stati Uniti e dalle Nazioni Unite in quanto terroristi: 33 membri del gabinetto e alti dirigenti talebani sono su quelle blacklist, almeno quattro i ministri su cui pende un mandato di cattura dell’Fbi statunitense”. La presenza di soggetti direttamente collegati al terrorismo pone una questione di fondo che, sottolinea l’esperto, “la comunità internazionale dovrà risolvere nei rapporti con i nuovi padroni dell’Afghanistan: riconoscimento, dialogo o mera interlocuzione. Un problema che, al di là degli effetti pratici, avrà dirette conseguenze sul piano del diritto poiché, nel caso in cui un governo straniero riconoscesse il governo talebano, di fatto (e di diritto) sosterrebbe il terrorismo”. Un aspetto di cui tenere conto in termini di relazioni diplomatiche, “sebbene il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti – che in una dichiarazione ha espresso preoccupazione per il fatto che il governo includa solo talebani, nessuna donna e personalità con precedenti preoccupanti riconducibili al terrorismo – abbia affermato che la nuova amministrazione sarà giudicata dalle azioni. Dunque una potenziale, quanto pericolosa, apertura”.