Accoglienza migranti, quanti controlli sono stati fatti sulla malagestione in Italia?
Dopo il caso di Mimmo Lucano a Riace, si torna a parlare dei fondi per l’accoglienza, da sempre oggetto di speculazioni propagandistiche. Difficile capire però quante indagini siano in corso sui centri più sospetti. ActionAid: “Da anni rileviamo numerose criticità, nessuna delle quali ha mai ricevuto la stessa attenzione dalla magistratura”
Non si placano le polemiche dopo la sentenza di condanna al sindaco di Riace Mimmo Lucano: 13 anni e 2 mesi per peculato, abuso d'ufficio, truffa, turbativa d'asta e associazione a delinquere. Una condanna da più parti ritenuta sproporzionata. C’è chi parla di una persecuzione ai danni dell’uomo simbolo dell’accoglienza e chi, come il procuratore di Locri Luigi D'Alessio, lo definisce un "bandito idealista da western”.
Il caso Riace torna però a riaccendere i riflettori sull’uso dei fondi per l’accoglienza dei migranti, da sempre oggetto di speculazioni propagandistiche, da una parte e dall’altra. Eppure, al di là di alcuni casi molto mediatici, si fa fatica a capire quanti controlli e quante indagini sulla gestione dei centri, sparsi su tutto il territorio nazionale, siano state realmente fatti in questi anni. Le organizzazioni umanitarie, attive nel campo dei diritti, hanno denunciato come i tagli all’accoglienza (da 35 a 21 euro) voluti dall’ex ministro Salvini abbiano di fatto favorito chi sui migranti vuole fare solo affari: sono stati aperti grandi centri, in si garantisce solo vitto e alloggio, senza altri servizi. In altri casi i bandi sono andati deserti, alcune organizzazioni hanno deciso di non partecipare in assenza di risorse in grado di assicurare standard adeguati.
“In questi quattro anni abbiamo rilevato numerose criticità, nessuna delle quali ci risulta abbia ricevuto la stessa attenzione del caso Riace da parte della magistratura. Abbiamo registrato, per esempio, la spinta del decreto sicurezza e del capitolato associato all’apertura di grandi centri e a grandi gestori, e il consolidarsi del ruolo nel “mercato dell’accoglienza” di grandi capitali di società con scopo di lucro anche provenienti dall’estero. Una situazione che non è stata risolta neanche con l’intervento riformatore del cosiddetto decreto Lamorgese”, spiega Fabrizio Coresi, Migration Programme Expert di ActionAid. L’organizzazione, insieme a Openpolis porta avanti dal 2018 un monitoraggio sull’accoglienza in Italia, che è raccolto nel lavoro Centri d’Italia.
In particolare, spiega Coresi, alcuni casi sono particolarmente rilevanti come “la tendenza monopolistica dell’accoglienza a Roma, dove ha continuato a operare un ente gestore interessato già dalle vicende di Mafia Capitale, Medihospes, che gestiva nel 2019 più del 60% dell’accoglienza straordinaria e quasi il 60% di quella pubblica afferente alla rete oggi chiamata Sai”. A Torino e in altre città invece c’è stata una vera e propria “resistenza a un capitolato di gara che privilegia le grandi concentrazioni”. Le gare di appalto per l’accoglienza sono andate deserte “per opporsi alla destrutturazione del sistema diffuso segnato dal decreto sicurezza, che riduceva l’accoglienza nei Cas alla guardiania e all’albergaggio - aggiunge Coresi -, con le prefetture schiacciate tra la necessità di garantire un servizio previsto dalla legge e delle regole di difficile applicazione. Alla fine nel 2019 questo ha portato a un’inevitabile ripetizione delle gare”.
Nel corso di 4 anni di monitoraggio “l’assenza di dati, unita alla totale mancanza di interlocuzione con analisti e addetti ai lavori nel disegno delle politiche sono purtroppo una costante. La stessa che si riscontra nella criminalizzazione della solidarietà e dell’aiuto, e della vera accoglienza - conclude -. È questo il filo rosso che unisce tutti gli ultimi governi, senza distinzione di colore politico: dal muro di norme della legge Minniti-Orlando alla riforma sancita dal Decreto immigrazione di dicembre scorso”.
Un sistema poco trasparente
La fotografia del sistema di accoglienza scattata da ActionAid insieme ad Openpolis riguarda sia i centri governativi che i centri per l’accoglienza straordinaria, ed è piuttosto articolata. Ma rimane parziale in questi centri, infatti, non è ammesso un controllo da parte di enti esterni se non previa autorizzazione. “L’unico strumento di trasparenza a disposizione dei decisori politici e della società civile è rappresentato dalla relazione annuale del Ministero degli Interni al Parlamento. La relazione, per obbligo di legge, dovrebbe vedere la luce entro il 30 di giugno di ogni anno. Impegno, quello della pubblicazione tempestiva, che viene regolarmente disatteso”, spiega Cristiano Cristiano Maugeri, Programme Developer di ActionAid.
Le due organizzazioni in questi anni hanno fatto richieste di accesso agli atti (tramite Foia) a tutte le 106 prefetture sull’intero territorio nazionale, per poi rivolgersi al ministero degli Interni che dispone di un sistema centralizzato denominato Sga (Sistema per la Gestione dell’Accoglienza). “Le richieste allo Sga ci hanno portato di fronte al Tar del Lazio dove, nella primavera 2020 ci è stato riconosciuto il diritto ad ottenere informazioni dettagliate riguardanti, ad esempio, capienza, presenze, tipologie di ospiti, natura e denominazione dei soggetti gestori nonché importi dei contratti di assegnazione - spiega Maugeri -. Il Tar e, di recente, il Consiglio di Stato, ci hanno negato l’accesso alle partite Iva e ai Codici Fiscali, dati che ci avrebbero permesso di ottenere una fotografia più dettagliata dell’accoglienza a livello territoriale”.
Intanto Il Viminale continua a negare informazioni essenziali per una questione di riservatezza. “Secondo il Ministero, la diffusione di queste informazioni lederebbe 'l'interesse pubblico alla riservatezza ed al buon esito delle ispezioni future'. Ragionamento, quest’ultimo a dir poco contraddittorio: come possiamo garantire il buon esito delle ispezioni se non sappiamo se le ispezioni abbiano mai avuto un 'buon esito' o cosa il ministero intenda per buon esito?”. aggiunge. Secondo Maugeri, “il Viminale dovrebbe impegnarsi ad una pubblicazione pro-attiva dei dati, ovverosia la fornitura periodica di dati disaggregati e navigabili o quantomeno aggiornare il registro degli accessi a disposizione presso il Dip. Della Fuzione pubblica. Il Parlamento dovrebbe, dall’altro lato, esigere la pubblicazione tempestiva della relazione annuale”.
Solo avendo contezza delle ispezioni, sottolinea Maugeri, “possiamo comprendere le ragioni delle chiusure di centri, monitorare di conseguenza le forme di accoglienza, l’operato della pubblica amministrazione e l’effettiva tutela dei diritti”. Anche le riforme di settore e le politiche pubbliche sulle migrazioni dovrebbero quindi basarsi esclusivamente sull’analisi dei fatti “mettendo al centro i diritti e agevolando l’inclusione delle persone richiedenti e titolari di protezione nel tessuto sociale”.