8 marzo: suor Nabila (Striscia Gaza), “La pace passa anche dal grembo delle donne”

Donne in guerra: in prima linea nel conflitto ma con le armi, apparentemente ‘spuntate’, della vicinanza, della solidarietà, della responsabilità, dell’educazione e della preghiera, sfollate e rifugiate. È l’esperienza diretta, vissuta sulla propria pelle, da suor Nabila Saleh, della Congregazione delle Suore del Rosario. Per sei lunghi mesi sfollata nella parrocchia latina di Gaza, al Sir racconta una missione di accoglienza tutta al femminile.

8 marzo: suor Nabila (Striscia Gaza), “La pace passa anche dal grembo delle donne”

Donne in guerra: in prima linea nel conflitto ma con le armi, apparentemente ‘spuntate’, della vicinanza, della solidarietà, della responsabilità, dell’educazione e della preghiera, sfollate e rifugiate. È l’esperienza diretta, vissuta sulla propria pelle, da suor Nabila Saleh, della Congregazione delle Suore del Rosario. Di origini egiziane, suor Nabila è stata per molti anni preside della scuola più grande della Striscia di Gaza, dove i suoi 1250 alunni, in larghissima maggioranza musulmani, apprendevano i valori della convivenza e del pluralismo. Ed è stato così almeno fino al 7 ottobre 2023, giorno in cui Hamas sferrò, da Gaza, un attacco terroristico contro Israele che fece oltre 1250 morti e 251 ostaggi. A causa della guerra e in seguito al bombardamento dell’aviazione israeliana della sua scuola, suor Nabila e le consorelle hanno trovato rifugio nella parrocchia latina della Sacra Famiglia, situata nel quartiere orientale di Al Zeitoun a Gaza City. Qui, per sei lunghi mesi (da ottobre 2023 ad aprile 2024), da sfollata, la religiosa si è occupata dei circa 700 cristiani riparati all’interno della parrocchia, insieme al vicario parrocchiale, padre Youssef Asaad, alle religiose del Verbo Incarnato e alle suore di Madre Teresa. Un’opera di accoglienza materiale e morale, tutta al femminile che, sostenuta dalla presenza di tante altre donne sfollate, giovani e meno giovani, ha permesso alla parrocchia di diventare un’“oasi di pace” non solo per i rifugiati ma anche per tante famiglie musulmane delle zone vicine. Un’opera che continua ancora grazie anche alla tregua concordata dai due belligeranti.

Come solo una madre sa fare. Dalla Giordania, dove si trova adesso, suor Nabila rievoca al Sir quei mesi trascorsi sotto le bombe, in condizioni umanitarie disperate.

“La nostra principale missione all’interno della parrocchia è stata sostenere le persone, le famiglie, i più deboli, i più inermi, come i bambini e disabili, gli anziani e i malati che erano con noi” ricorda la religiosa.

“Giorni, settimane e mesi trascorsi a lavorare fianco a fianco con altre donne, madri di famiglia, nonne, giovani spose, preparando il cibo, cucinando il pane, animando le giornate dei bambini, pulendo gli spazi comuni. Uomini e donne insieme, ognuno secondo le proprie capacità. Abbiamo condiviso quel poco che si aveva, come acqua e cibo” afferma suor Nabila che riconosce di aver messo a frutto la sua esperienza di preside di scuola in quei terribili frangenti. “Ho trascorso molto tempo con i più giovani, organizzando delle attività, ascoltandoli, restando loro vicino”. Anche questo è stato un modo per “essere presenti e stare vicino come solo una madre sa fare con il proprio figlio” rimarca la religiosa.

Presenti: non solo con le opere ma, sottolinea, “con la vicinanza, l’affetto, la preghiera, l’ascolto e spesso anche il silenzio. Non posso dimenticare i loro volti sotto i bombardamenti, la paura che ci prendeva tutti quando sentivamo le bombe cadere nelle zone vicine e la corsa dentro la chiesa per sfuggire alle schegge e ai cecchini. Sono stati i momenti peggiori perché eravamo consapevoli che la morte poteva raggiungerci in ogni istante. Ma non volevamo morire in strada ma nella nostra ‘casa’, in parrocchia, davanti l’altare”. È stata, ed è, una presenza a dir poco materna quella delle religiose all’interno della parrocchia latina di Gaza. “La nostra – spiega suor Nabila – è una maternità spirituale. La suora, a suo modo, è una madre nell’aiutare, sostenere ed educare la comunità in cui si trova a vivere. Ogni giorno abbiamo pregato il Rosario, partecipato alla messa e alle catechesi, recitato la liturgia delle ore, portato avanti le attività pastorali, ricordato chi, nella nostra comunità, ha perso la vita: tutto questo ci ha aiutato ad andare avanti e a sperare nella fine delle ostilità. La preghiera placa le paure e guarisce le ferite del cuore”.

Suor Nabila è sicura:

“La pace passa anche dal grembo delle donne”.

“Una donna che educa i propri figli alla convivenza, alla tolleranza, è un potente strumento di pace. Certamente la guerra provoca ferite, divari spesso insanabili. Pensiamo ai bambini che hanno vissuto sulla propria pelle la guerra, che hanno perso i propri familiari. Ma il cuore di una madre è grande abbastanza per fare posto alla pace. I bambini di Gaza, quelli israeliani hanno bisogno di pace più di altri. Educhiamoli a non odiare, nonostante la realtà li spinga in direzione opposta. Qui in Medio Oriente abbiamo bisogno di pace e allora coinvolgiamo le donne, le mamme perché educhino i loro figli ad accogliere l’altro e non ad odiarlo”.

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Fonte: Sir