75° anniversario. Politi (Ndcf): “La Nato può essere uno strumento di pace prevenire la guerra senza l’uso della forza”
Negli ultimi tre quarti di secolo di storia dell’umanità, l’organizzazione ha ricoperto un ruolo rilevante. “Senza la Nato, saremmo in una zona grigia dove si conoscerebbe la guerra davvero”, assicura Alessandro Politi, direttore della Nato defense college foundation (Ndcf)
In tre quarti di secolo, la Nato ha visto quasi triplicare il numero dei Paesi alleati: dai 12 che nel 1949 siglarono il Trattato, oggi sono 32 a comporre il quadro dell’alleanza militare intergovernativa dell’Atlantico del Nord. Negli ultimi 75 anni di storia dell’umanità, l’organizzazione ha ricoperto un ruolo rilevante. “Senza la Nato, saremmo in una zona grigia dove si conoscerebbe la guerra davvero”, assicura Alessandro Politi, direttore della Nato defense college foundation (Ndcf). Ed ha ragione perché, anche se negli anni della Guerra fredda, i membri della Nato erano impegnati nell’aumentare gli armamenti convenzionali e nucleari, allo stesso tempo, erano intenti a prevenire le cause di un conflitto mondiale.
Direttore, è un anniversario importante?
I 75 anni sono un anniversario impressionante. Quando Donald Trump disse che la Nato era inutile, la mia Fondazione ricordò come, prima dell’Alleanza, ci siano state due guerre mondiali. Il solo fatto che non ci sia stata una terza in Europa è una differenza tangibile.
Senza la Nato, saremmo in una zona grigia, dove si conoscerebbe la guerra davvero.
Il Segretario generale, Jens Stoltenberg, dice che la Nato oggi è “più forte che mai”. È veramente così?
Rispetto al periodo della Guerra fredda, la Nato è più forte perché il grosso squilibrio fra le forze convenzionali ex sovietiche e le forze atlantiche si è drasticamente ridotto, a fronte di una sostanziale parità nucleare. In questo senso, oggi è più forte. La Nato ha spese militari maggiori rispetto alla Russia, nonostante questa sia in economia di guerra: la Federazione russa ha l’equivalente del Pil della Spagna, la Nato invece somma quello dell’Unione europea con quello degli Stati Uniti.
Nel frattempo, l’Alleanza si è anche allargata.
Non è necessariamente una misura della forza, ma è senz’altro una misura dell’attrattiva della Nato. Ci sono Paesi che continuano a voler entrare. Il numero dei partecipanti richiede però uno sforzo maggiore per garantire i confini ed il consenso politico.
Del passato, cosa andrebbe lasciato?
La capacità di prevenire le cause di una guerra, cosa non facile. Una guerra di aggressione resta tale ma, anche se c’è una responsabilità evidente di chi decide di usare lo strumento bellico, è importante disinnescare prima la dinamica. Non è semplice perché a volte molti devono collaborare e spesso non è così.
Fra le cose da mantenere c’è la raccomandazione del Comitato dei saggi, contenuta nel rapporto Harmel del 1967, basata sulla sinergia tra deterrenza e dialogo.
All’epoca, la parola dialogo era necessaria, per evitare malintesi che portassero a un conflitto atomico, ed era dettata dalla riunificazione dell’Europa. Oggi le ragioni non sono identiche, ma per rendere sicura l’Europa, il dialogo è indispensabile, anche quando sembra impossibile.
Cosa invece sarebbe meglio eliminare dall’eredità di questi 75 anni?
Quello che nessuno vorrebbe è il ritorno della proliferazione verticale delle armi nucleari, per non parlare di quella orizzontale in altri Paesi.
Il futuro della Nato: può essere uno strumento di pace senza mostrare i muscoli?
La Nato è già stata, con tutte le complessità di un’alleanza politico-militare, uno strumento di pace e ha fatto in modo che per 75 anni non ci fossero guerre nel continente europeo. L’Europa per millenni ha vissuto in una condizione di guerra endemica e qualche volta pandemica.
“L’abbaiare della Nato alla porta della Russia”, come lo ha definito Papa Francesco, può aver contribuito all’invasione russa?
Guardare alla Nato quale strumento di pace è una sfida, quando proviene da provocazione evangelica come quella di Bergoglio. Concretamente sarebbe una Nato che riesce a prevenire la guerra senza l’azione della dissuasione o dell’uso della forza, il che è impegnativo sul piano dei valori.
Il Pontefice dice di smetterla di digrignare i denti, ma la sfida non è di facile soluzione. Oggi è impensabile, ma ci sono stati presidenti americani che hanno pensato di abbandonare la strada della deterrenza nucleare.
Ronald Reagan, non certo un irenista svagato, voleva liberare il mondo dal terrore nucleare, proponendo lo scudo stellare. Barack Obama, non meno concreto, nella sua National security strategy riteneva che il totale disarmo nucleare fosse un obbiettivo ultimo; un precedente molto importante. Su fronti diversi, entrambi si trovavano sostanzialmente d’accordo sul fatto che la minaccia nucleare fosse alla fine insostenibile.
Nel frattempo, il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha dichiarato che il piano di pace cinese sull’Ucraina è “ragionevole” e “il più chiaro” finora presentato.
Il fatto che Kiev accetti il piano cinese non è scontato. È però un primo gesto da parte della Russia per tentare un dialogo diplomatico, tutto da verificare in concreto, specie con questa controparte. Certo, è più conveniente usare idee di una parte terza, sebbene non lontana dalla Federazione russa, e tentare di evitare così un rigetto immediato da parte di Kiev. Va ricordato che nel 2023, Kiev aveva cautamente considerato il piano cinese, subordinandolo però al ritiro totale delle truppe russe. Tuttavia, non è un caso che Vladimir Putin stia moltiplicando i segnali per esprimere la volontà di trattare e non è un caso che escano notizie poco incoraggianti sulla difesa ucraina. Entrambe le parti hanno interesse a sedersi, stanando le ambiguità del discorso pubblico. E il tempo non è molto sino a novembre.
Maria Elisabetta Gramolini