27 gennaio 1945 - 2025. La memoria, un filo che lega passato e presente
27 gennaio 1945 - 2025 Ottant’anni fa i prigionieri di Auschwitz venivano liberati dall’Armata Rossa. Cosa ricordare e perché? Quale uso pubblico fare di questa memoria? La Shoah è un fatto che dobbiamo difendere dalle falsificazioni o dobbiamo trarne un insegnamento?
![27 gennaio 1945 - 2025. La memoria, un filo che lega passato e presente 27 gennaio 1945 - 2025. La memoria, un filo che lega passato e presente](/var/difesapopolo/storage/images/media/openmagazine/il-giornale-della-settimana/articoli-in-arrivo/27-gennaio-1945-2025.-la-memoria-un-filo-che-lega-passato-e-presente/6032682-1-ita-IT/27-gennaio-1945-2025.-La-memoria-un-filo-che-lega-passato-e-presente_articleimage.jpg)
«Uze vy svobodnyie!» (ormai siete liberi): queste le prime parole pronunciate dai soldati dell’Armata Rossa il 27 gennaio di 80 anni fa ai prigionieri che li guardavano increduli, dopo che avevano abbattuto i reticolati del lager di Auschwitz. Per i soldati della 60ª armata sovietica il lager era un campo di detenzione di prigionieri. La storia dirà poi che in quel “campo” si stava compiendo il genocidio del popolo ebraico. Agli ebrei sopravvissuti viene spesso mosso il rimprovero di fare di Auschwitz, della Shoah, un mito, un monumento. Ma le cose non stanno proprio così. «Per i sopravvissuti e per i loro eredi – scrive Bruno Segre – la Shoah rappresenta il ricordo incancellabile di un disastro, di una vicenda di rovinosa umiliazione, di impotenza e solitudine. Lì, sul corpo indifeso dell’ebraismo europeo si è recata una mutilazione irredimibile. Lì si è consumata la cancellazione di quel grande serbatoio di vita e cultura ashkenazita che da molti secoli era presente nell’Europa centro-orientale». Il nome “Auschwitz” fra gli storici non indica più un luogo, ma riassume in sé tutti i nomi dei 42.500 lager costruiti dai burocrati dello sterminio in tutta Europa. In esso sono comprese anche tutte le categorie di prigionieri di tutte le nazionalità. Oswiecim, in Polonia (Auschwitz in tedesco): è la cittadina presso la quale i nazisti allestirono e misero in opera la macchina industriale della morte più efficiente e colossale a memoria d’uomo. Ho visitato molte volte il Memoriale. Nelle camere a gas semidistrutte del lager che oggi si possono vedere, finì circa un milione e mezzo di esseri umani, per oltre il 90 per cento ebrei. Negli ultimi mesi di guerra, la volontà di eliminarli come popolo, fu assoluta nei programmi del Terzo Reich. Sebbene la Germania fosse perdente su tutti i fronti della guerra, da Ovest a Est, le ultime risorse furono utilizzate per portare a compimento il progetto genocidario. Le SS del lager, informate dell’arrivo dei soldati russi, avevano ricevuto l’ordine di trasferire i forni crematori a Mauthausen per continuare l’opera in maniera rapida con coloro che fossero arrivati a piedi, dopo l’estenuante Marcia della morte. Questa è storia. Sulla memoria della Shoah invece si contrappongono due tesi. La prima, quella che attribuisce allo sterminio il significato di focalizzare l’attenzione su ogni altra “crudeltà di massa” del passato e del presente, al fine di mobilitare le coscienze e l’azione perché fatti simili non si ripetano, né per gli ebrei né per altri. La seconda, considera invece la Shoah un fatto estremo, tale che ogni paragone con persecuzioni, massacri e genocidi inflitti ad altri e in altre situazioni riduce la percezione della sua unicità e della sua portata, sminuendone la quantità e l’identità delle vittime. Chissà cosa avrebbe detto Primo Levi di fronte a questa ipertrofia della memoria, lui che fin dai primi anni, coi suoi libri, ha tentato di orientare la riflessione. Il punto è anche un altro, e riguarda ebrei e non ebrei. Cosa ricordare e perché? E quale uso pubblico fare di questa memoria. «La memoria non è il ricordo. La memoria è quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro», ha detto Piero Terracina, uno degli ultimi testimoni di Auschwitz, morto nel 2019. La Shoah è un fatto che dobbiamo difendere dalle falsificazioni in nome della verità storica oppure dobbiamo anche trarne qualche insegnamento per il nostro agire? Primo Levi afferma esplicitamente l’unicità dei campi di sterminio e della Shoah, ma non si astiene dal fare continue comparazioni. Scrive infatti: «In nessun altro luogo e tempo si è assistito ad un fenomeno così imprevisto e così complesso: mai tante vite umane sono state spente in così breve tempo, e con una così lucida combinazione di ingegno tecnologico, di fanatismo e di crudeltà. (da I sommersi e i salvati). Aggiungendo però: «quanto del mondo concentrazionario è morto e non tornerà più, come la schiavitù e il codice dei duelli? quanto è tornato o sta tornando? che cosa può fare ognuno di noi, perché in questo mondo gravido di minacce, almeno questa minaccia venga vanificata?». Il confronto tra i campi nazisti di sterminio e altre atrocità di massa ha senso. In nessun momento Primo Levi smentisce il fatto che Auschwitz sia un unicum, e «tuttavia ne estende enormemente la confrontabilità con situazioni persino a noi familiari e di tutt’altre dimensioni e gravità. Nel fare questo, compie due movimenti: il primo è quello di avvicinare a noi l’esperienza per noi inaccessibile del male estremo; il secondo è quello di avvertire che il male estremo non è alieno, non viene dalla luna, ma giace in latenza nella nostra stessa normalità» (Stefano Levi Della Torre). Il Reich hitleriano e il sistema dei lager erano la gigantesca e mostruosa organizzazione della normalità umana, la mobilitazione ideologica verso obiettivi mostruosi della banalità che è in ognuno di noi. Hannah Arendt e il caso Adolf Eichmann docet.
Le visite
Nel 2024 oltre 1 milione e 830 mila persone hanno visitato il Memoriale del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau, nel sud della Polonia. Un aumento del 10 per cento rispetto al 2023, ma al di sotto del record pre-pandemia con 2,32 milioni di visitatori nel 2019 (anche a seguito dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente). La visita al lager non può essere paragonata a una visita a un qualsiasi altro museo. È un’esperienza che richiede preparazione. I cittadini polacchi fra visitatori sono i più numerosi (25 per cento). Seguono: britannici, spagnoli, italiani e tedeschi. Le guide parlano venti lingue diverse.
Il lager doveva ampliarsi: sarebbe stato “Mexico”
In caso di prolungamento della guerra i nazisti avevano previsto un ulteriore ampliamento di Auschwitz, sul terreno di Birkenau. Il nuovo sito si sarebbe chiamato “Mexico”, già previsto nel 1944. La liberazione dei tre campi – Auschwitz I (campo principale), Auschwitz II (campo di sterminio), Auschwitz III, Buna Monowitz (impianto di lavoro coatto) – costò ai russi la morte di 231 soldati.