25 aprile, ritroviamo il significato proprio della festa
La festa del 25 aprile non può che essere di tutta la Repubblica, consapevole delle sue origini e dei suoi traguardi, ed è precisa responsabilità dei governi proporla come tale. Celebra la libertà, come base su cui sviluppare democrazia, giustizia sociale e sviluppo: il circuito virtuoso che ha permesso all’Italia di crescere e che oggi sembra essersi inceppato. Guardando alla sostanza culturale e morale, dunque politica, del 25 aprile, la priorità è riattivarlo.
Ci risiamo, anche quest’anno il 25 aprile rischia di essere solo l’ennesima occasione di polemiche. Tanto più in un quadro di campagna elettorale.
E allora, senza seguire le ultimissime vicende, a proposito per esempio del monologo di Scurati, vediamo di puntare al significato proprio della festa.
Bastano alcuni semplici dati.
Il centenario del rapimento e dall’assassinio di Matteotti sottolinea un fatto:
la Repubblica italiana nasce con una precisa opzione antifascista,
peraltro richiamata nella stessa Costituzione, che, nella XII disposizione transitoria proibisce la ricostruzione del partito fascista e nello stesso tempo esclude, per cinque anni, le gerarchie fasciste, dalla vita politica. Una scelta molto saggia che dice due cose: il rifiuto permanente e totale del fascismo da un lato e la forza delle nuove istituzioni repubblicane, che sono capaci di includere, nel senso della libertà e della democrazia, tutti i cittadini.
Con questo spirito viene istituita, dal governo De Gasperi, la festa del 25 aprile, già nel 1946. Festa della Liberazione, e anche della Resistenza, che ha accomunato uomini e donne di un ampio arco politico.
Dirà lo stesso De Gasperi il 25 aprile 1947: “così rinnoviamo insieme l’impegno di solidarietà per la resistenza anche in pace contro ogni oppressione sociale, per la liberazione dallo sfruttamento, dallo spirito fazioso, eterno malanno d’Italia, e dal bisogno”.
Insomma, una festa per guardare avanti, consapevoli dei disastri del fascismo, e non indietro. L’antifascismo non è dunque il monopolio di quello che poi sarà il cosiddetto antifascismo militante, appannaggio solo di una certa parte politica, la sinistra che guardava peraltro al comunismo sovietico. E il 28 ottobre 1950, in piena guerra fredda, ribadendo la posizione antifascista e antitotalitaria, in un grande discorso ai partigiani cristiani concludeva: “Siamo pronti a tirare un frego su tutto il passato ad una condizione: che di qui innanzi non ci sia che una patria sola, un regime solo riconosciuto, una libertà sola”.
La festa del 25 aprile non può che essere di tutta la Repubblica, consapevole delle sue origini e dei suoi traguardi, ed è precisa responsabilità dei governi proporla come tale.
Celebra la libertà, come base su cui sviluppare democrazia, giustizia sociale e sviluppo: il circuito virtuoso che ha permesso all’Italia di crescere e che oggi sembra essersi inceppato.
Guardando allora alla sostanza culturale e morale, dunque politica, del 25 aprile, la priorità è riattivarlo.
Di più: oggi si sta rafforzando non solo in Italia il vento di una cultura violenta, fatta di contrapposizioni tanto radicali quanto vuote, che tuttavia, connesse con la guerra mondiale a pezzi alimentano “l’eterno spirito fazioso”, avvelenano il clima. E ci rendono tutti più soli, più nervosi, più poveri, strumentalizzabili, incapaci di lavorare insieme per obiettivi condivisi. Sarebbe ora di cambiare registro e di ritrovare, anche da una festa unitaria, nuova lena.