Sacro Cuore di Gesù. Il nostro Dio: un maschio con sangue caldo nelle vene
Facciamo così: accantoniamo per un momento tutti i libretti frusti e melensi, e le immagini oleografiche e androgine, e riappropriamoci del tema forse più virile della nostra fede, che è proprio, paradossalmente, il Sacro Cuore, che ci mostra un Dio-uomo dotato di tutto l’apparato di un corpo vivo e senziente, cioè del corpo, e della mente, e dei sentimenti, e delle passioni e delle emozioni, di un maschio che ama e soffre e chiede e dona, abisso vertiginoso delle concrete conseguenze dell’Incarnazione
Quando sentiamo l’espressione “Sacro Cuore”, dobbiamo ammettere che ci viene subito in mente quel Gesù che da bambini abbiamo tutti visto a casa delle nostre nonne: visino tondo, quasi femmineo con quella barbetta appena accennata, boccoli biondi, e un’aria leziosa nell’offrirci il suo cuore come ci offrisse un bon-bon. L’oleografia è da sempre la morte dell’agiografia, e si capisce perché un locus teologico così importante come quello del Sacro Cuore si sia ridotto a comparire in libretti di preghiere o invocazioni di apocalittici dispiaciuti del presente.
Già Pio XII nell’enciclica Haurietis Aquas aveva ammonito circa queste derive, che non hanno nulla a che fare con l’effettivo culto del S. Cuore: “Taluni, infatti, confondendo o equiparando l’indole primaria di questo culto con le varie forme di devozione che la Chiesa approva e favorisce, ma non prescrive, lo stimano quasi come alcunché di superfluo, che ciascuno può praticare o no a suo arbitrio; altri, poi, stimano che questo stesso culto sia oneroso e di nessuno o ben modesto vantaggio specialmente per i militanti del Regno di Dio, preoccupati soprattutto di consacrare il meglio delle loro energie spirituali, dei loro mezzi e del loro tempo alla difesa e alla propaganda della verità cattolica, alla diffusione della dottrina sociale cristiana e all’incremento di quelle pratiche e opere di religione, che giudicano molto più necessarie per i tempi nostri;
vi sono inoltre alcuni, i quali anziché riconoscere in questo culto un mezzo efficacissimo per l’opera di rinnovamento e di progresso dei costumi cristiani, sia degli individui che delle famiglie, vi vedono una forma di devozione pervasa piuttosto di sentimento che di nobili pensieri ed affetti, e perciò più confacente al femmineo sesso che alle persone colte.
Vi sono anche altri, i quali, ritenendo questo culto come troppo vincolato agli atti di penitenza, di riparazione e di quelle virtù che stimano piuttosto « passive », perché prive di appariscenti frutti esteriori, lo giudicano senz’altro meno idoneo a rinvigorire la spiritualità moderna, cui incombe il dovere dell’azione aperta e indefessa per il trionfo della fede cattolica e la strenua difesa dei costumi cristiani, in mezzo ad una società inquinata di indifferentismo religioso, incurante di ogni norma discriminatrice del vero dal falso nel pensiero e nell’azione, ligia ai princìpi del materialismo ateo e del laicismo.” (Ivi, I)
A parte il tono per nulla politically correct, che rende peraltro il testo molto gustoso, la riflessione di Pio XII è assai lucida: c’è il rischio che un maschio con sangue caldo nelle vene non si avvicini per nessun motivo di sua sponte al culto del Sacro Cuore, visti gli ambiti sentimentalistici e melensi in cui di solito viene coltivato. A ben vedere, anzi, visto che il Sacro Cuore è la sintesi di tutti i dogmi, c’è il rischio più generale che quanto avviene in questo caso specifico si estenda a tutta la fede e la prassi cattolica… come di fatto in molti ambienti accade, in una Chiesa tutta al femminile, e magari pure abbastanza anziana.
Peccato, perché un maschio con sangue caldo nelle vene è precisamente l’oggetto del culto del Sacro Cuore. Sangue caldo pompato da un Cuore che batte, anche ora.
L’idea che Dio sia un uomo concreto, dotato di sentimenti e sensazioni, e che tale sia rimasto dopo la sua glorificazione; il fatto che uno possa essere Dio ma anche provare sentimenti; il fatto che uno possa essere in Paradiso (anzi, essere IL Paradiso) eppure avere bisogno di consolazione, e saperla chiedere, senza per questo essere meno forte; il fatto di avere tutto, eppure di saper esprimere una mancanza (quella di te)… questi, e tanti altri aspetti connessi alla teologia e al culto del Sacro Cuore, paradossalmente sarebbero la via spirituale più adatta a formare proprio noi maschi, noi uomini spesso tanto a disagio con l’espressione dei nostri sentimenti, incapaci di stare scioltamente con gli altri, incapaci di chiedere, educati a stringere i denti e a negare di stare male.
Facciamo così: accantoniamo tutti i libretti frusti e melensi, e le immagini oleografiche e androgine, e riappropriamoci del tema forse più virile della nostra fede, che è proprio, paradossalmente, il Sacro Cuore, che ci mostra un Dio-uomo dotato di tutto l’apparato di un corpo vivo e senziente, cioè del corpo, e della mente, e dei sentimenti, e delle passioni e delle emozioni, di un maschio che ama e soffre e chiede e dona, abisso vertiginoso delle concrete conseguenze dell’Incarnazione.
“Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (Gaudium et Spes, 22).