Rigurgiti filonazisti. Fiasco: “Per evitare il baratro riscoprire la forza degli insegnamenti morali”
Anche in Italia cresce il clima di odio. Esempi sono dati da alcuni episodi venuti alla ribalta dei media: il professore dell’Università di Siena che sul suo profilo Twitter esalta Hitler; una ventiseienne della provincia di Milano che è la vincitrice del concorso Miss Hitler 2019 e una 48enne impiegata e incensurata di Cittadella che si faceva chiamare “Sergente maggiore di Hitler” e aveva il compito di reclutamento e diffusione di ideologie xenofobe; l’idea di costituire un nuovo partito filonazista, xenofobo e antisemita in Italia che avrebbe preso il nome di Partito nazionalsocialista italiano dei lavoratori. Secondo il sociologo, "non si tratta di incidenti di percorso" e "i media contribuiscono a far circolare tossine neofasciste"
Anche in Italia cresce il clima di odio, persino con rigurgiti di posizioni filonaziste. Esempi sono dati da alcuni episodi venuti alla ribalta dei media: il professore dell’Università di Siena che sul suo profilo Twitter esalta Hitler; una ventiseienne della provincia di Milano che è la vincitrice del concorso Miss Hitler 2019 e una 48enne impiegata e incensurata di Cittadella che si faceva chiamare “Sergente maggiore di Hitler” e aveva il compito di reclutamento e diffusione di ideologie xenofobe; l’idea di costituire un nuovo partito filonazista, xenofobo e antisemita in Italia che avrebbe preso il nome di Partito nazionalsocialista italiano dei lavoratori. Di quanto sta avvenendo nella nostra società parliamo con il sociologo Maurizio Fiasco.
Professore, come dobbiamo valutare questi fenomeni?
La seduzione simbolica del neonazismo non è sparita nel maggio del 1945. Certo, vi è una ricorrente paccottiglia accademica, con qualche professore che vi reperisce una sorta di risarcimento per la sua condizione di “genio incompreso” nell’ambiente universitario. Per dirla con Giambattista Marino, “chi non sa far stupir, vada alla striglia”. Ma quell’ideologia di morte fornisce copioni e abiti di scena, e canoni estetici, ai consumatori di violenza, anche nella stagione che viviamo oggi.
Tanto negli stadi quanto nelle aggregazioni criminaloidi delle periferie urbane. Cominciano a contarsi, infatti, troppi episodi per continuare a parlarne come “incidenti di percorso”: tra Macerata (il giovinastro che nel 2017 ha sparato agli immigrati), l’antisemitismo ai raduni “padani” e i cori truci ai relativi cortei. Per non citare i sindaci che negano la cittadinanza alla senatrice a vita Liliana Segre, oppure il disprezzo dei riferimenti alla memoria repubblicana e resistenziale, cioè al patrimonio universale degli italiani. Quando poi, dai luoghi centrali della politica, si levano parole contro i neri, gli immigrati, persino contro i naufraghi e il carico raccolto in mare di bambini e madri, ecco che si “sdogana” il disprezzo verso l’umanità.
Oggi quello che era diventato deprecabile alla fine della Seconda Guerra mondiale sta diventando quasi normalità: cos’è cambiato?
“Natura non facit saltus”. Il substrato neofascista e nazisteggiante aveva prosperato nella seconda metà del Novecento, per esempio su quell’asse tra il Veneto e Roma tristemente noto negli anni dello stragismo di destra. Sebbene colpito dall’azione giudiziaria sul finire del secolo, non si è però estinto. Anzi, si ripresenta, calandosi nel contenitore disponibile nello spazio fisico (le piazze) e in quello virtuale (dei social network): accettato, in contiguità, con un movimento esplicitamente xenofobo. Ma non solo.
Occorre rimarcarlo in modo semplice: i nuovi estremisti non hanno alcun interesse a misurare le parole. Gridano, con gli occhi fuori dalle orbite. Ostentano la fisicità e la rabbia, facendo lievitare l’aggressività nel senso comune. Modalità che attecchiscono su una non piccola frazione della popolazione: quella che sta soffrendo per la violenta esclusione sociale derivata dalla precarietà economica.
I media riportano, ovviamente, queste notizie: c’è il rischio emulazione?
Sui media assistiamo alla banalizzazione dei segnali. Peggio: alla rincorsa a ospitare nei talk show le figure portatrici della subcultura neofascista. Per fare audience grazie ai “caratteristi” che provocano l’attenzione. Ma essi non sono “macchiette”, sulle quali sorridere. Mentre vi è un grave distacco tra popolo minuto e figure acculturate (che dovrebbero svolgere una funzione di interposizione sociale e educativa), i media contribuiscono a far circolare tossine neofasciste nella nostra società.
Il 53° rapporto Censis segnala che sono crescenti le pulsioni antidemocratiche. Il 48% degli italiani, infatti, dichiara che ci vorrebbe un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni. C’è qualcuno che si preoccupa di questo nuovo clima che si registra nel nostro Paese?
Mi preoccupa, se osserviamo come la ultradecennale crisi economica impatta nelle comunità locali: il risentimento per mancanza di prospettiva contribuisce a che il capitale sociale (la tradizione civica di solidarietà nel vicinato) si vada mutando da bridging a bonding, da inclusivo a ostracizzante, grazie alla crescente psicologia di massa dell’eliminazione dell’altro.
È il lievito psicologico che 50 anni fa produsse le tragedie dello stragismo, di cui ricordiamo l’episodio che lo portò alla ribalta della politica italiana: Piazza Fontana.
Questo rafforzarsi dell’estremismo di destra più spinto su posizioni filonaziste e il negazionismo di quello che a suo tempo ha prodotto nella società il nazismo da dove nasce?
I movimenti aggressivi hanno necessità di una blasfema ideologia, qual risorsa simbolica con la quale attribuire identità e statura a persone che patiscono l’esclusione semiologica: per declino della capacità espressiva, per povertà lessicale, per incapacità a verbalizzare persino il reclamo. E ciò accade mentre viene diffusa in forma plebea un’estetica dell’esibizione di posizioni estremiste, con corredo di abbigliamenti e acconciature che paiono sfidare la riservatezza delle famiglie e la vita quotidiana delle persone miti. È anche questa una merce scadente, simile a quella spacciata ai tempi del fascismo con un dannunzianesimo degli incolti. I dispositivi del totalitarismo di estrema destra sono molto simili nella storia, poiché si adattano – quanto a efficacia pratica – al mutare dei contesti sociali e psicologici delle crisi economiche, finanziarie e di relazioni sociali. Riflettono senza mediazioni una nevrosi di massa. Le modalità espressive nichiliste offrono un rituale di scarico alla frustrazione aggressiva.
Torniamo perciò a studiare la grande letteratura che nel Novecento, dopo le tragedie, ci ha illuminato su questi fenomeni. E così comprendiamo l’approssimarci al baratro, scrollandoci di dosso quell’ignoranza delle classi colte, che hanno abdicato a formare coscienze, cultura, in una parola a esprimere opinione pubblica.
Come si combattono questi pericolosi segnali?
La prima “medicina” è aggiornare l’analisi. Da qui si potrebbe passare a riscoprire la forza di insegnamenti morali che si oggettivano nella partecipazione: civile, solidaristica, alla scoperta dell’amore per il prossimo.
Ci gioverebbe un’azione formativa indirizzata a chi si adopera oggi per aiutare, materialmente, moralmente e con le idee chi soffre. E insista – con dati e proposte serie – che si può uscire dalla crisi: grazie alla competenza, alla responsabilità, con il contributo di tutti. Non voglio insegnare niente a nessuno, ma vedrei l’urgenza di un sindacalismo che guardi alla popolazione povera e smarrita e ne porti al “tavolo delle trattative” le giuste rivendicazioni.
Non voglio eludere il tema della politica: occorre far presto a ripristinare i modi della partecipazione dal basso, all’insegna di valori umani, con la critica e la proposta verso le scelte istituzionali da compiere. Tornare insomma a formazioni politiche popolari, che appassionino ampi strati dei cittadini e li educhino alla democrazia, al pluralismo, al rispetto reciproco delle posizioni.