Ossessioni genitoriali. Spopola tra i genitori la app per controllare il registro elettronico dei figli
La restituzione del processo di apprendimento non assume in questo modo una connotazione troppo valutativa?
Non se ne parla ancora ufficialmente, ma il morbo serpeggia tra i genitori e inesorabile falcidia vittime quotidianamente. Non abbiamo stime ufficiali, ma sappiamo con certezza che è in crescita esponenziale e contagia ogni giorno nuove vittime, ignare della portata della patologia.
Abita gli incubi notturni, sveglia repentinamente con sudori freddi e tremori inconsolabili coloro che ne sono affetti alle prime ore del mattino. Alimenta la smania continua di cliccare la “app” dedicata dello smartphone.
Mina pericolosamente equilibri famigliari, genera crisi coniugali e determina continui confronti-scontri fra genitori e figli. Anche i nonni e gli altri parenti ne vengono coinvolti in interminabili sfoghi telefonici.
Si tratta della “sindrome ansiosa da registro elettronico online”.
Inizia a colpire selvaggiamente le proprie vittime quando i figli intraprendono il percorso della scuola secondaria di primo grado e non si ferma fino all’università.
In principio la notizia dell’esistenza del registro elettronico colma di gioia i cuori dei genitori che, ingenuamente, credono che lo strumento sarà un “toccasana”. Non sanno poi che svilupperanno una sorta di maniacale dipendenza per il mezzo e che quella icona sul cellulare diventerà un “oracolo” a cui rivolgersi in maniera ossessivo-compulsiva.
Tutte le future decisioni dipenderanno dalla lotteria dei numeretti dispensati da quel “coso”. Il fine settimana con gli amici, il pranzo domenicale con i parenti, la cena con i compagni di sport, le uscite pomeridiane e, finanche, le vacanze invernali ed estive.
A decidere il ménage una sfilza di numeri da 1 a 10 evidenziati da tonalità cromatiche che variano dal verde all’azzurro, fino al famigerato rosso “sangue”.
La rivoluzione è avvenuta in sordina. Introdotto con il Decreto Legge 95 del 2012, il registro elettronico è rientrato nella politica di “dematerializzazione” burocratica delle pubbliche istituzioni. Attraverso una semplice applicazione la scuola ha iniziato a comunicare “in diretta” alle famiglie: assenze, ritardi, compiti, materiale didattico, avvisi e soprattutto valutazioni.
Sugli “effetti” della piccola rivoluzione digitale del registro elettronico ci si è subito interrogati. Gli psicologi, ad esempio, hanno iniziato a esprimere perplessità e scetticismo nei confronti di una soluzione che, a loro parere, non sembrava incoraggiare il percorso di autonomia, soprattutto per la troppa “visibilità” della vita scolastica dell’alunno. Il voto “rosso”, al suo apparire, attiva subito la task force genitoriale che si presenta con rimbrotti e punizioni e poi mette in atto una serie di interventi di recupero che, forse, il “pargolo” dovrebbe essere sollecitato a cercare da solo, soprattutto dopo una certa età.
D’altro canto la possibilità di andare a consultare presenze e assenze, o anche i compiti ha agevolato oggettivamente tutti quei genitori molto impegnati col lavoro, i quali hanno modo di verificare quotidianamente l’organizzazione scolastica dei propri figli prima che le situazioni diventino insanabili.
Insomma il dilemma: registro elettronico sì, registro elettronico no è ancora in piedi.
Oltre alla perplessità degli psicologi ci sarebbero anche quelle di natura pedagogica. Si tratta di considerazioni non soltanto legate allo strumento multimediale, ma proprio al taglio dell’approccio che finisce col proporre. All’interrogazione seguono i giorni dell’avvento, ovvero l’attesa che il famoso numero spunti “in chiaro”.
La restituzione del processo di apprendimento non assume in questo modo una connotazione troppo valutativa? La scuola dà soltanto i numeri o innesca processi formativi?
Ecco, il vero rischio è quello di ridurre la professione docente e il percorso degli studenti a una sorta di tombola numerica, senza approfondirne la valenza intrinseca.
Ben venga quindi il registro elettronico, ma occhio a non sostituirlo al colloquio tra “umani” e soprattutto cerchiamo di consultarlo “q.b.” (“quanto basta”) come nelle migliori ricette di una volta.