Noemi Di Segni (Ucei): “L’odio antisemita è radicato e mai sopito, bisogna combatterlo con la verità”
La presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche in Italia, Noemi Di Segni, commenta per il Sir la preoccupazione espressa ad Assisi dal card. Matteo Zuppi per l’insorgere dell’antisemitismo in Italia e in Europa: “Le sua parole di condanna - dice - sono importanti ma sono un’affermazione ampia che è necessario esplicitare". Riguardo a Gaza, aggiunge: "c'è una guerra e c'è un ospedale circondato e attaccato. Gli appelli di disperazione che arrivano da lì, fanno male e tormentano. E’ davvero l’ultima cosa che qualsiasi israeliano vuole vedere. La morte a Gaza"
“La polarizzazione dipende da un odio antisemita radicato che non si è mai sopito. Emerge solo per gli ebrei e per nessun’altra tragedia al mondo. È dentro le nostre comunità. È frutto di un odio che esiste ed è radicato profondamente. Per vincerlo occorre individuare le responsabilità e avviare processi educativi. Occorre costruire processi di verità e di rispetto. Forse solo così usciranno persone che non odiano ma sanno guardare all’altro con rispetto”. Rispondendo alle parole sull’antisemitismo pronunciate ad Assisi dal card. Zuppi in apertura dell’assemblea plenaria della Cei, Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei) – interpellata dal Sir – fa il “punto” sulla situazione vissuta anche qui in Italia dagli ebrei e sull’impatto che la guerra tra Israele e Hamas, scoppiata il 7 ottobre, sta avendo anche nel nostro Paese.
Il card. Zuppi nel suo intervento fatto riferimento al risorgere dell’antisemitismo. Come avete accolto queste parole?
Le parole di condanna dell’antisemitismo sono importanti ma sono anche un’affermazione ampia che è necessario esplicitare. L’antisemitismo parte dalla demonizzazione e dal disconoscimento di Israele e del suo diritto di difendersi e difendere la vita, prima ancora del territorio. Questo disconoscimento di Israele si esplicita come odio verso gli ebrei, ovunque siano, anche in Europa.
Quale situazione state vivendo nelle sinagoghe e nelle comunità ebraiche italiane?
Da un punto di vista organizzativo, c’è chiaramente un maggior rigore e un aumento di sicurezza, ma il desiderio di vita, e di vita ebraica, va avanti. Quindi non si interrompe nulla e si vuole dare un messaggio di fiducia anche nelle forze dell’ordine che consentono di poter svolgere l’attività regolare nelle scuole, nelle comunità, in sinagoga. Questo è quello che sta accadendo al nostro interno e che stiamo gestendo. Ma quello che invece preoccupa molto perché è fuori dal nostro controllo, è la presenza di quelle persone che assorbono la propaganda che arriva dall’organizzazione terroristica di Hamas, senza la capacità di discernere.
Perché parla di propaganda?
Ci sono un linguaggio ed una comunicazione di propaganda che distolgono dal vero problema, che è quello della difesa della vita. L’appello ai due Stati è molto giusto, ma non va rivolto solo a Israele. Va rivolto a chi l’ha sempre rifiutato, a chi continua a chiedere e volere l’annientamento e l’annullamento di un’altra esistenza. E allora le parole di condanna dell’antisemitismo sono una dichiarazione di principio che tutti condividiamo, ma siamo stati vittime di un attacco barbaro.
Le immagini che vengono da Gaza rendono crudele la guerra che sta conducendo Israele e possono ingenerare odio nelle persone che le guardano. Lei cosa pensa a questo proposito?
Le immagini dei bambini sono strazianti, ma sono le stesse immagini che riguardano altri conflitti nel mondo, sui quali nessuno si è mobilitato e di cui nessuno sa nulla. Quel sabato mattina, la nostra gente in Israele stava facendo colazione, si stavano svegliando nelle loro case. Chi è arrivato a trucidare donne e uomini e bambini di cui non si parla più? Non è stato Israele a cercare questa guerra e se non ci fosse stata un’immediata reazione militare di difesa, quei massacri sarebbero continuati. Riguardo a Gaza, ci sono persone e ci sono medici che lavorano lì, e credo anche che sappiano molto bene di essere scudi umani. Forse, prima di essere vittime di Israele, rischiano di essere vittime di chi li tiene in ostaggio. Tra l’altro, continuano gli sforzi da parte dell’Idf per coordinare il trasferimento degli incubatori dall’ospedale israeliano all’ospedale Shifa a Gaza a dimostrazione dell’impegno a distinguere tra civili e terroristi di Hamas.
I soldati israeliani non entrano a trucidare né donne, né uomini né bambini, cercano di difendere la vita delle persone, compresi gli arabi, compresi i musulmani.
Violenza chiama violenza.
C’è una guerra e c’è un ospedale circondato e attaccato. Gli appelli di disperazione che arrivano da lì, fanno male e tormentano. E’ davvero l’ultima cosa che qualsiasi israeliano vuole vedere. La morte a Gaza. Ed è il motivo per cui nessuno ha attaccato Gaza prima del 7 ottobre. Ma dal momento in cui siamo stati attaccati, che cosa pretende il mondo? Che Israele rimanga inerme e continui a far trucidare tutti i suoi cittadini? Davvero il mondo è disposto a chiudere gli occhi di fronte al massacro di uomini, donne anziani e bambini, trucidati, casa per casa, nello stile del pogrom, dei peggiori assassini, alla ricerca del dolore, della tortura?
Davvero il mondo è disposto a non riconoscere il concetto di difesa.
Come si costruisce la pace?
Insegnando il rispetto delle altre persone e della vita. Ma anche arginando la barbarie. Costruire la pace non vuol dire stare fermi e non fare nulla. Significa anche chiarire cosa è verità e cosa non lo è. Favorire percorsi e per processi educativi, di amore e di rispetto, lavorando ciascuno nella propria area e nella propria religione.
Nel suo discorso il card. Zuppi ha parlato anche di impegno educativo, religioso e civile della Chiesa italiana. Come si educa all’antisemitismo?
Si educa anzitutto alla convivenza trasmettendo al bambino, fin dalla nascita, la propria fede e la propria cultura ma allo stesso tempo educando al fatto che esistono altre persone al mondo che per ragioni storiche, geografiche e culturali seguono altre forme di riti, altre religioni ma che ciò non impedisce di vivere insieme. Questo deve essere fatto e questo non viene fatto a sufficienza.