L’intelligenza artificiale si mangerà la mediocrità

I lavori tecnico-pratici resteranno, così come quelli basati su creatività e forte specializzazione. Ma gli altri rischiano di sparire. Bruno Scarpa (università di Padova): chi ha competenze mediocri competerà con una macchina che costerà molto meno

L’intelligenza artificiale si mangerà la mediocrità

L’intelligenza artificiale? Quando entrerà davvero in rapporto con il corpo della società ne mangerà la pancia, mentre ne preserverà la testa, le mani e i piedi.

Lasciate perdere gli aspetti leggermente truci e un po' antropofagi di questa immagine: l'importante è che disegna bene la rivoluzione che sta per accadere con l'avvento dell'Ia (intelligenza artificiale). La tratteggia il veneziano Bruno Scarpa, docente di statistica al dipartimento di Scienze statistiche dell'università di Padova.

Reduce da una giornata di studi in cui manager e professori si sono confrontati sugli scenari futuri, tira un po' le fila di ciò che sta accadendo e, soprattutto, di ciò che potrebbe accadere. «Nel medio termine, diciamo tra dieci anni, la mediocrità diventerà una commodity»: cioè – come la maggior parte delle materie prime – la mediocrità ha valore modesto e livellato. «Per fare un esempio: il lavoro dell'impiegato amministrativo lo farà sempre più la macchina e diventerà pressoché gratuito. Tutti i lavori ripetitivi, che si possono fare senza bisogno di particolari competenze, quantomeno costeranno poco, perché svolti da una tecnologia. Di conseguenza i lavoratori, se hanno competenze mediocri, competeranno con qualcosa che costerà molto meno di loro».

Per tornare all'immagine di partenza: «La pancia sarà gratis e la grande parte della società è fatta di pancia. Questo diventa un problema importante per la gestione del mondo».

Dopodiché, dando un'occhiata a testa, mani e piedi – cioè ai lavori intellettuali e tecnico-pratici - succede questo: «Gli idraulici, per esempio, continueranno ad avere mercato. Chi fra loro, però, vorrà non solo lavorare ma avere successo dovrà però essere un po' migliore dello standard e coltivare una propria specializzazione».

Bisogna invece cambiare idea su coloro che si salveranno anche se tradizionalmente annoverati nella “testa”: «Il traduttore – prosegue Scarpa - già oggi non esiste più: Chatgpt traduce benissimo e non c'è più bisogno di una persona che faccia da revisore. Ma anche per l'avvocato o il giudice le cose cambiano molto: il 90% del lavoro di ricerca e raccolta dati giuridici verrà fatto da una macchina e chi oggi se ne occupa sarà soppiantato. Anche per gli ingegneri non eccellenti o non molto specializzati potrebbero arrivare tempi difficili».

Ma si potrebbe dire qualcosa di simile anche per i medici o per i giornalisti: per questo ultimi, l'Ia in un battibaleno attraverserà le banche dati, farà sintesi, individuerà la notizia e scriverà un testo più che decoroso. Certo, la cronaca di un incidente stradale non la farà mai e un linguaggio alla Montanelli difficilmente saprà tirarlo fuori...

Potrebbe andare meglio ai filosofi: «La complessità aumenta ed aumenterà: perciò c'è bisogno di un aumento di pensiero, per cui i filosofi servono, chi pensa serve».

«Ciò cui assistiamo – conclude Bruno Scarpa – è un'accelerazione simile a ciò che si è visto nella storia dell'uomo: è un replicare la rivoluzione industriale. Nella prima, grazie all'introduzione delle macchine, invece di far lavorare mille donne per confezionare delle maglie ne sono bastate dieci. Un processo simile lo vedremo con molti attuali lavori. Certo, però, che per il merletto di Burano non c'è alternativa all'artigiano...».

«Non sono preoccupato dall'avvento dell'intelligenza artificiale: è una cosa positiva, che mi affascina. Ma bisognerà esser pronti a governarla: occorre pensare da subito ai problemi per aver chiare delle risposte».

Lo statistico Bruno Scarpa ha chiaro il problema numero uno: «Nel lungo termine prevedo che la stragrande parte dei lavori e servizi resi possibili dalla Ia saranno centralizzati da qualche parte».

Dato che la potenza di calcolo sarà fondamentale, converrà far ricorso alle aziende big del settore, che possono permettersi enormi investimenti in computer sempre più performanti: «Per cui - esemplifica il docente - anche il lavoro dell'informatico verrà demandato a pochi bravi e iper-specializzati che lavoreranno in queste grandi aziende così da garantire un servizio molto migliore di chi non ha mezzi e potenza di calcolo».

L'intelligenza artificiale di cui avremo sempre più bisogno, insomma, farà capo a pochi big dell'industria planetaria, con una conseguenza prevedibile: «Che pochi ricchi diventeranno sempre più ricchi e la gran massa dell'umanità rischierà la povertà».

Anche perché è altrettanto prevedibile che l'accresciuta potenza delle macchine aumenterà il valore dei beni e servizi prodotti. Quindi la ricchezza sarà più grande, ma verrà calamitata verso chi deterrà il potere tecnologico. Come ovviare? Che fare per evitare una sperequazione crescente? «Bisognerà pensare a come redistribuirla», suggerisce Bruno Scarpa, chiamando in causa la politica. «Bisognerà trovare un modo per redistribuire parte dei grandi ricavi e profitti prodotti, affinché le differenze crescenti non producano crisi e ribellioni. Servirà un nuovo welfare, molto più efficace».

In questo senso il docente dell'università di Padova ritiene che si debba pensare presto a questo ordine di problemi: «Sui temi del mercato del lavoro e della ricchezza vedo ancora poca attenzione, mentre c'è molta attenzione sul governo dell'intelligenza artificiale. Siamo cioè molto sensibili al fatto che se a queste macchine si danno informazioni sbagliate, esse ti rimanderanno indietro risultati distorti. E in effetti il tema della non distorsione è oggi importante, ma non per questo si devono lasciare in secondo piano quelli di visione politica e di giustizia sociale. E ho la sensazione che, se non ci si pensa prima, quando il problema arriverà alla cronaca e non avremo pensato a dei correttivi, sarà un guaio». 

La regola resta quella e l'intelligenza artificiale non la scalfisce. Perciò a un giovane che vuole decidere cosa fare da grande il consiglio da dare, secondo Bruno Scarpa, è questo: «Fai quello per cui sei portato. Meglio diecimila volte fare filosofia, se ti piace, che non far male ingegneria, che poi è una vita d'inferno. Con l'Ia questo principio è ancora più enfatizzato».

Il docente universitario di statistica a Padova ne è convinto e lo sottolinea come se parlasse avendo proprio di fronte un ragazzo: «Se fai una cosa per cui hai doti e vocazione la farai molto bene e ti troverai tra coloro che lavoreranno con soddisfazione e risultati. Se la fai controvoglia, solo perché dicono che darà lavoro, invece non lavorerai, perché ti preparerai mediocremente».

Sviluppare le competenze, allenare la creatività, infarcire tutto di passione: l'età dell'intelligenza artificiale richiede queste cose ad un diciottenne di oggi. «Aggiungerei – rileva il prof. Scarpa – anche il consiglio di formarsi là dove si imparano le cose bene, perché a tutti i livelli, università compresa, i luoghi di formazione sono di spessore diverso e in alcuni si rischia di imparare poco o nulla».

E i ragazzi hanno chiaro questo suggerimento? Scarpa tentenna: «Ho la sensazione che i ragazzi delle ultime annate preferiscano la non competizione e scelgano ciò per cui si fa poca fatica. Ma sono scelte che non pagano».

I posti di lavoro non diminuiranno: anzi, aumenteranno. Ma la velocità della loro distruzione potrebbe essere drammaticamente alta e solo una pari velocità nell'approfittare di nuove opportunità potrebbe compensarla. Ad ogni modo, la politica è chiamata ad un compito urgente: governare il cambiamento e riequilibrare gli squilibri economici e sociali che l'intelligenza artificiale produrrà.

Lo dice Leonardo Becchetti, romano classe 1965, professore ordinario di Economia Politica all’Università Tor Vergata di Roma, membro della Scuola di Economia Civile e direttore del Festival Nazionale di Economia Civile, co-fondatore di Next e Gioosto, editorialista de “Il Sole 24 Ore”, del “Corriere della Sera”, di “Avvenire” e di altre testate ancora.

È autore di oltre 600 pubblicazioni. Tra i suoi ultimi libri: “Rinnovabili subito. Una proposta per la nostra indipendenza energetica” del 2022, “Guarire la democrazia. Per un nuovo paradigma politico ed economico” del 2024 e, insieme ad altri 14 studiosi, di “Piano B. Uno spartito per rigenerare l’Italia” (2024) che – si legge nella quarta ci copertina – “mira a far risuonare la sinfonia dell’Italia attiva, facendo emergere una visione comune, in grado di incidere sull’opinione pubblica e sulla politica”. È spesso in Veneto ed a febbraio di quest’anno è stato ospite del Centro Pattaro al Laurentianum di Mestre.

Professor Becchetti, conosciamo più di qualche stima che dice che alla fine i posti di lavoro creati grazie all’Intelligenza Artificiale saranno di più di quelli eliminati. Sarà davvero così? Chi ne trarrà vantaggio e chi soffrirà? In quanto tempo si compirà il ciclo Schumpeteriano della “distruzione creatrice”?

La Gartner, che è una delle maggiori società di consulenza globale su questi temi, prevede un aumento netto di circa 500 milioni di posti di lavoro a livello globale nei prossimi 10 anni. Sappiamo che l’Ia sarà un processo Schumpeteriano che creerà e distruggerà molti posti di lavoro ma il saldo netto sarà positivo. Uno dei problemi è che la velocità di creazione e distruzione di posti di lavoro accelererà. Le faccio un esempio. Da un momento all’altro sono diventate di ottima qualità le traduzioni online. E un settore florido come quello dei traduttori online ha visto un crollo di posti di lavoro e di salari. In genere i lavori che resisteranno meglio sono quelli dove è importante la creatività e la relazione interpersonale. L’Intelligenza Artificiale non potrà in nessun modo mandare in crisi lavori come quelli degli infermieri e dei badanti.

L’Ia (Ai in inglese) dovrebbe inglobare nei nuovi prodotti e servizi un “di più” che aumenta il valore degli stessi. È davvero così e ci aspetta una stagione di maggior ricchezza per tutti?

È proprio questo il meccanismo che ci permette di dire che i posti di lavoro netti non diminuiranno. Ogni innovazione tecnologica aumenta la produttività, il valore economico creato e con esso il potere d’acquisto e la domanda. Questa domanda cerca più beni e servizi e i posti di lavoro aumentano. Con uno spostamento di settori questo sì. I settori che vedremo crescere saranno quelli della domanda di beni e servizi che consumiamo nel tempo libero: turismo, sport, intrattenimento, cultura.

È però facile intuire che saranno in pochi a poter intercettare il maggior valore. Ci aspetta quindi piuttosto una stagione di ulteriore incremento della disuguaglianza? A livello locale come a livello mondiale?

Se la politica non interviene all’inizio la maggiore ricchezza generata dall’innovazione si concentra nelle mani di pochi o comunque di coloro che hanno le competenze per sfruttare le nuove tecnologie e soprattutto chi perde lavoro e non lo ritrova precipita in basso. Il cosiddetto “sgocciolamento” dei ricchi che usano la loro maggiore ricchezza per domandare nuovi beni non basta. Le società si polarizzano in due blocchi. Fondamentale il ruolo della politica per contrastare le diseguaglianze. Bisogna agire ex post con la tassazione progressiva del debito e la lotta ad evasione ed elusione fiscale ma anche ex ante per creare pari opportunità di accesso a salute ed istruzione. E soprattutto promuovere la riqualificazione dei lavoratori e la formazione continua.

Tra i chiari e gli scuri, la sua sensibilità dice che prevarranno i primi o i secondi?

Tra i chiari avremo opportunità straordinarie. Un assistente digitale che moltiplicherà la nostra produttività e le nostre forze. Gartner stima che nel giro di pochi anni un quarto dei lavoratori mondiali lavorerà quattro giorni a settimana. Penso che complessivamente la nostra vita migliorerà e di molto. Ci lamentiamo molto e giustamente dei problemi e dei rischi di dipendenza che crea l’era digitale, vedi pc e telefonino. Ma credo che nessuno di quelli che si lamentano sarebbe disposto a farne a meno. La vera questione che diventa centrale è il discernimento, una virtù propriamente spirituale tra l’altro. Siamo e saremo enormemente più potenti ma, come diceva una vecchia pubblicità, “la potenza è nulla senza il controllo”.

Pensando in particolare alle persone più giovani, ha qualche consiglio su come affrontare il prossimo futuro?

Ai giovani consiglio di acquisire competenze e risalire la scala dei talenti per evitare di restare intrappolati in basso. Alla base di tutto deve esserci un desiderio. Come insegnano la dinamica della generatività e gli studi sulla felicità, la chiave per dare soddisfazione e ricchezza di senso di vita è nella qualità delle nostre relazioni e nella generatività stessa, ovvero nell’impatto delle nostre azioni sugli altri. La matrice di tutti i sogni più belli è la generatività, poi le vie della generatività sono infinite. Il mio augurio ai ragazzi, e a tutti, è non perdere mai di vista l’orizzonte della generatività verso cui tendere e di armarsi di tenacia e pazienza per muovere nella direzione giusta con piccoli passi, investendo e seminando ogni giorno. Alla fine ci accorgeremo di aver fatto molta strada. Sembra strano a dirsi ma nell’era del trionfo della tecnologia non saranno le competenze tecniche a farla da padrone perché la tecnologia per diffondersi di più deve essere user friendly, ovvero avere un interfaccia più semplice possibile per poter essere usata da tutti. A dominare in un mondo ricco di tempo libero e di cultura saranno desideri e sogni e quello con la radici più ricche e profonde è proprio quello della generatività.

Con “Piano B” lei sta girando l’Italia per incitare tutte le persone che incontra a cambiare rotta rispetto alle gravi crisi che stiamo vivendo: sociale, economica, ambientale, geopolitica. Cosa dobbiamo fare per cambiare rotta?

Lavoriamo a tutti i livelli per fare squadra, aumentare la dimensione di scala dei nostri interventi ed unire i generativi se vogliamo affrontare con successo le prossime sfide dell’umanità. E penso che alla fine ci riusciremo.

Giorgio Malavasi

Fabio Poles

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